In questo determinato tempo storico “accogliere i forestieri” è indubbiamente l’opera di misericordia che ci interpella in modo molto forte e che ci invita a fare verità. Da molti mesi il fenomeno migratorio è sotto la luce dei riflettori. Ogni giorno il dibattito sull’immigrazione si accende e molte volte assume toni aspri, prestando il fianco a strumentalizzazioni e alimentando nel cuore di molte persone forti paure e timori. La questione è molto delicata, va affrontata con cuore ed intelligenza, per non cadere in sterili forme di buonismo o in rigidità e chiusure che portano al rifiuto dell’altro.
Accogliere i forestieri chiede a ciascuno e alle nostre comunità cristiane di vivere una profonda conversione pastorale. Prima di tutto è necessario che ci ricordiamo che non stiamo parlando di numeri, di un fenomeno di analisi statistica, ma di volti, di storie concrete di sofferenza e disperazione. Siamo chiamati a guardare in faccia questi fratelli in carne e ossa, che fuggono da guerra e miseria, dalla sofferenza e dalla morte. Si tratta di aprire loro il nostro cuore e non solo, perché l’accoglienza del forestiero non è qualcosa di opzionale per il cristiano, ma è espressione della Carità di Cristo. La vita dell’uomo, di ogni uomo è sacra e siamo chiamati ad adoperarci perché sia salvata da tutto ciò che la minaccia. La vita di uomini, donne e bambini che fuggono dalla morte non è forse preziosa quanto la vita di ogni essere vivente. Allora se giustamente ci si prodiga per salvare gli animali, perché si osteggia in maniera così forte e pregiudiziale la riflessione ed il confronto per offrire ancore di salvezza a questa umanità sofferente ? Perché non riusciamo ad ascoltare questo grido, questo dolore innocente ? L’eucarestia che celebriamo ci dona la forza per abitare questa periferia dell’umano, ci dona gli strumenti necessari per farcene carico, per assumerci la responsabilità della custodia della vita altrui, specie di quella più debole. Non possiamo lasciarci risucchiare dal vortice dell’indifferenza e della delega in bianco. È il tempo della responsabilità e della solidarietà, per sconfiggere il cancro dell’indifferenza e dell’individualismo. E questo è compito nostro !
In secondo luogo è necessario che facciamo una grande opera di verità per guardare in faccia le logiche ingiuste ed inique che stanno relegando sempre più milioni di persone a vivere sotto la soglia della povertà o dentro sanguinosi e devastanti conflitti. Senza entrare in analisi che non mi competono, come singoli e come comunità cristiana dobbiamo metterci in discussione per tutte quelle volte che ci inoltriamo nelle paludi dei compromessi e delle ambiguità, per quando ammicchiamo alle logiche del potere e barattiamo la ricerca della verità e della giustizia per un pugno di privilegi, per trenta denari. Molti fratelli arrivano e bussano alle porte delle nostre case e del nostro cuore. Scappano perché nella loro terra la vita è divenuta o sta diventando impossibile. Fuggono perché le logiche ingiuste del potere e del denaro stanno seminando sofferenza e morte nelle loro case e nei loro cuori. Anelano ad un po’ di pace e di serenità, anelano ad una terra promessa che è raggiungibile solo se noi siamo disposti a condividere un futuro diverso. Ciò si realizza attraversando insieme le terre permesse del rispetto reciproco, dell’accoglienza, della solidarietà e della giustizia. La terra promessa si raggiunge attraversando prima le terre che sono permesse. L’accoglienza del forestiero è la prima tappa di un percorso che ha come obiettivo un nuovo modello di sviluppo sostenibile e giusto per ogni uomo, una nuova umanità.
Infine questo è anche il tempo della speranza e della fiducia. L’accoglienza del forestiero pone interrogativi, fa emergere paure, chiede di rivisitare le proprie certezze. Quando soffiava forte il vento dell’economia ci eravamo illusi che l’integrazione fosse gioco facile. Eravamo convinti che il lavoro e la sicurezza economica fossero la soluzione e la strada maestra di questo processo. Venuti meno questi elementi sono emerse tutte le crepe di un processo che chiede di partire dall’uomo, dall’umano, dal suo valore unico e prezioso. In questi mesi nella nostra Diocesi questo processo ha ripreso forza e vigore. Pur nelle fatiche e nelle chiusure, il germe della speranza sta facendosi strada tra le rocce della paura. Molte comunità si sono interrogate e messe in discussione sul tema dell’accoglienza organizzando incontri di approfondimento e conoscenza. Il numero dei volontari nelle strutture di accoglienza gestite dalla caritas diocesana è aumentato notevolmente, così come significativo è il numero di giovani e ragazzi delle scuole che cerca un confronto sereno e libero con questa realtà della migrazione e soprattutto con i volti di chi ne è protagonista. Altro segno di grande speranza e fiducia è la ricaduta significativa del progetto Protetto: rifugiato a casa mia che ad oggi ha visto parrocchie, ordini religiosi e famiglie aprire le porte per affermare con semplicità che la strada dell’integrazione, la via di un mondo diverso è possibile ed è realizzabile partendo dal quotidiano. Ad oggi sono 42 i migranti coinvolti nel progetto e la disponibilità all’accoglienza è stata data da 3 ordini religiosi, 6 parrocchie e 12 famiglie. Qualcuno può limitarsi a dire che è una goccia nell’oceano, oppure chiedersi, come hanno fatto un giorno gli apostoli, ma che cosa è questo per tanta gente ? È il tempo della speranza perché il nostro poco nelle mani del Signore diventa tanto. Lui, suscitando nel cuore dell’uomo l’ardire della condivisione, ha fatto sì che con cinque pani e due pesci trovassero sazietà oltre cinquemila uomini. Perché anche oggi non può essere ancora così ? Non poniamo limiti all’azione della Grazia, ma partiamo con fiducia dal nostro poco, dal nostro fragile “si” per abbattere i muri della divisione e costruire ponti di pace, per essere tessitori di speranza, per essere semplicemente cristiani.
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