L’umanità sta vivendo dei passaggi molto forti e che non sempre sono di facile lettura. Dinanzi all’ingiustizia, alla corruzione, alle calamità che segnano molti angoli della terra, l’uomo e ognuno di noi si scontra con la parola della sofferenza e spesso con quella della morte. C’è una umanità, quella più povera e martoriata, che non ce la fa più. Non ne può più, perché quando la vita è minacciata e messa veramente in pericolo, non resta altra via che la ribellione. È necessario che il grido di questa parte del mondo arrivi al cuore di chi vive arroccato dentro le fortezze del potere. È necessario che la terra intrisa di sangue innocente squarci il velo di indifferenza e tiepidezza che ha anestetizzato il nostro cuore e la coscienza dei governanti del cosiddetto primo mondo.
Non possono passare sotto traccia le scelte politiche che stanno segnando la storia dei nostri giorni. Dinanzi alle famiglie in difficoltà, dinanzi ad un disagio sociale sempre più crescente, dinanzi al disorientamento e alla precarietà dei giovani, dinanzi al grido disperato di uomini e donne costrette a migrare per avere salva la vita, la risposta non può essere sempre quella di respingere i problemi al mittente trovando sempre dei capri espiatori. La logica di Ponzio Pilato resta ancora la strada più battuta, a livello di amministratori locali, quanto di chi “guida” le sorti del mondo. E questo purtroppo segna anche la vita della chiesa. Le logiche del potere continuano ad inquinare e a rendere corrotto il cuore dell’uomo. È necessario che ci fermiamo tutti quanti per riscoprire, ritrovare insieme il valore dell’uomo, il valore di ogni singola vita che è inserita in un creato che va onorato e rispettato perché fonte della vita.
Sono inaccettabili le posizioni di chiusura, i muri che continuamente nel nostro territorio si alzano contro i migranti. Desta preoccupazione il modo con cui l’Europa sta “non affrontando” la realtà di queste persone che scappano dalla loro terra alla ricerca della vita. È incredibile come il vecchio continente, depositario di percorsi virtuosi di democrazia, di libertà, giustizia ed equità, non esiti un solo istante, pur di salvaguardare i propri privilegi, a tessere relazioni con paesi come la Turchia, la Libia, il Niger dove non sono assolutamente garantiti i diritti minimi dell’uomo. Non è possibile lasciare sprofondare nella disperazione tutte quelle persone e quelle famiglie che sono state inghiottite dal vortice della crisi economica. Non si può continuare ad alimentare la logica dello scarto lasciando indietro quanti sono caduti nella marginalità per scelte sbagliate o per eventi incalcolabili. Non possiamo continuare a spegnere sul nascere le aspettative dei giovani, rimanendo ancorati ai posti di potere. Non possiamo abdicare alla verità, alla libertà, alla legalità, ritenendo che l’ambigua e paludosa via della corruzione è la scorciatoia che ci permette di rimanere sempre a galla e di portare a casa il risultato migliore.
È necessario che diciamo basta a questo logiche egoistiche e nazionalistiche che sono ben lontane dai fondamenti ispiratori della casa comune. È necessario un cambio di marcia se non vogliamo continuare ad incagliarci nei bassifondi della mediocrità e delle paure che a turno vengono alimentate come prima forma di controllo delle coscienze. Dinanzi a tutto questo mi sembra molto importante rispolverare alcuni passaggi del discorso che papa Francesco ha tenuto il 6 maggio del 2016, nel discorso ad alcuni esponenti politici dell’Europa, per il conferimento del premio Carlo Magno.
“Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli? Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. E’ necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108), ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando. A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni.
Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato.
In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo preponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambiamento e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno. «La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. E’ un dovere morale». Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani.
Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia»[. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia.