Stiamo vivendo giorni in cui sempre più si assiste ad un accanimento, verbale e fisico, dell’uomo contro chi è altro da sé. Si sono rotti gli argini del rispetto e del valore della persona. Il vulcano dell’individualismo erutta continuamente lapilli infuocati carichi di egoismo e odio. La tentazione è quella di lasciarsi vincere dallo sconforto. Ma è proprio quando tutto sembra volgere al declino che risplende la luce e la forza della Parola di Dio. Il Signore ci ridona speranza regalandoci l’icona della lavanda dei piedi.
Gesù depone le sue vesti ed indossa un asciugatoio, un grembiule. I suoi gesti, carichi di compassione, aprono allo stupore e alla meraviglia. Il suo mettersi a servizio dell’umanità passa attraverso la scelta di assumere su di sé la condizione degli ultimi e attraverso la custodia della loro dignità e della loro storia. Quel grembiule cinto ai fianchi svela la delicatezza e l’attenzione con cui il Signore si accosta ad ogni uomo, soprattutto a chi è ferito ed emarginato dalla vita. Dice la sua verità. Gesù non fa rumore, non accompagna la sua scelta d’amore con gesti eclatanti. Sceglie la via dell’incarnazione, è attento alla carne dell’uomo e tutto questo lo vive con semplicità, ma anche con la consapevolezza che ogni vita è una terra sacra che va amata, onorata e custodita. Quell’asciugatoio è preludio al gesto della lavanda dei piedi che ci dice che Dio non risparmia mai sull’amore affinché nessuna vita vada sprecata. L’acqua della vita è versata, ma non è buttata via, perché è per la vita. Il grembiule è una veste che rimane; rimarrà sempre la sua veste più intima. Non si è tolto la veste di servo, perché questa rivela la sua gloria, che è quella del servizio.
Quel grembiule cinto ai fianchi allora è un chiaro invito ad assumere fino in fondo la custodia del fratello, ad avere a cuore la situazione, a farcene carico, condividendone le gioie ed i dolori. Dinanzi alla domanda di Caino “Sono forse io il custode di mio fratello?”, la risposta è una sola “si lo sei”. La fraternità infranta rende sporchi i nostri piedi ed insanguina il nostro cammino, siamo chiamati a custodirla come dono inestimabile.
La lavanda dei piedi non è solo un gesto di servizio, ma è l’atto con cui Dio si china sull’umanità custodendo ed onorando la dignità di ciascuno. È riconoscere la sacralità del cammino di ognuno. Prendere tra le mani quei piedi, segnati dalla polvere delle fatiche e feriti dalle durezze del cammino, è segno di un amore privilegiato, è segno che tutto nella nostra vita sta a cuore a Dio. Quell’acqua versata che ristora e purifica quei piedi, racchiude tutto l’amore del Signore che continua a sussurrare all’orecchio di ogni uomo “venite a me voi affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò”. Ogni vita, ogni cammino non va solo rispettato, ma va onorato, perché ognuno è portatore di un tratto unico del volto di Dio. Si tratta, con delicatezza e tenerezza, di aiutare ciascuno a ritrovare il candore e la purezza dei propri piedi, del proprio volto e del proprio cuore. Questo è un invito molto importante anche per ciascuno di noi perché ci chiede di saper stare in ginocchio dinanzi alla sacralità della vita di ogni persona, che è tabernacolo vivente della presenza dell’Amore di Dio.
Il gesto di asciugare i piedi non è solo un atto che completa la lavanda dei piedi, ma indica la possibilità di un cammino che deve riprendere e continuare. Quei piedi, quel cuore piagato e segnato dalle fatiche della vita sono risanati e purificati. Possono godere del ristoro, ma non della sedentarietà. Per lavare i piedi dei discepoli Gesù si mette al di sotto dei discepoli: una posizione assolutamente nuova per Dio (Fil 2,5ss) che rivela un Dio nuovo e inedito, non un sovrano che guarda dall’alto in basso, ma un Dio che guarda in su, verso la sua creatura: sono cambiate le posizioni e le gerarchie. Il Dio di Gesù Cristo non ci consente di metterci sopra gli altri neppure per fare il loro bene. L’unica grandezza da lui ammessa è il dono gratuito e totale, il servizio. Gesù che asciuga i piedi riabilita ciascuno ad un nuovo cammino, alla bellezza di riprendere l’itinerario della speranza e della carità. Ogni uomo, nella sua fragilità e debolezza, rischia di impantanarsi nelle paludi dei compromessi o di calpestare l’arido terreno delle periferie esistenziali. Ognuno ha bisogno di quella lavanda dei piedi per assaporare la delicatezza dell’acqua che risana e ristora, per gustare la carezza di una mano che guarisce e riconsegna alla vita. La lavanda dei piedi riabilita alla vita e aiuta a dare un senso e un valore al proprio cammino, alla propria storia. È una guarigione che dona di vivere in pienezza e ci toglie dalla tentazione di rimanere bloccati in una sterile sopravvivenza. È una guarigione che non cancella le ferite, ma le trasfigura. I piedi, stanchi e pieni di polvere, non vengono esentati dall’affrontare la durezza del cammino, ma viene riconosciuta e riconsegnata loro bellezza e dignità.
È un grande dono quello di condividere, di dare spazio e tempo al linguaggio forte che la lavanda dei piedi porta con sé, quello di “stare con” ed “essere per”. La tensione spirituale del lavare i piedi sta tutta in una passione interiore, in un legame di umanità che ci fa essere e restare là dove l’umanità è lacerata. È in questi luoghi che siamo chiamati a portare una dimensione di condivisione, una volontà di ricerca di ciò che vale veramente, la consapevolezza di essere tutti, ma proprio tutti, figli di un medesimo Padre, chiamati alla fraternità anche in un mondo contemporaneo così frammentato e diviso.
Il paradosso dell’esperienza cristiana è Gesù che prima si nasconde e poi si rivela in quei volti e in quelle storie di vita segnate dal dolore infinito. Ed è verso le persone che vivono queste esperienze che dobbiamo chinare il capo, verso i piedi. Proprio in questo mondo spesso chiuso nelle sue speranze tristi, nei linguaggi di chiusura, negli egoismi corporativi, deve farsi largo, deve trovare delle fessure quel respiro e quella vita di carità che è sempre eccedente, che non fa calcoli, non si misura sui risultati, diventa sapiente e saggia perché scruta, incontra, opera anche avvolta nel silenzio. Senza questi volti, queste storie di vita, noi non sapremmo dove poter incontrare quel Gesù che ci sta prendendo per mano. Dobbiamo imparare nuovamente a commuoverci, a portare in noi il mondo intero, a respirare e a sognare. Lo dobbiamo fare perché la fraternità deve diventare sempre più il volto di una Chiesa che si mette in cammino con i poveri, che si fa povera davvero, che si fa a lavare i piedi.