Il tempo che stiamo vivendo è certamente contrassegnato da difficoltà e problematiche che stanno fortemente indebolendo il tessuto sociale e che stanno facendo precipitare molte persone nel baratro della disperazione. La povertà, nel suo aspetto multidimensionale, ci sta dicendo che ogni uomo, prima o poi, deve fare i conti con la propria debolezza e fragilità. Inoltre ci aiuta a comprendere che andando avanti da soli rischiamo di rimanere schiacciati dal vortice delle difficoltà. È necessario quindi riscoprire l’importanza delle relazioni e della solidarietà, che vadano oltre il forte individualismo.
Nell’attuale contesto la Caritas Diocesana avverte la responsabilità di non fermarsi all’analisi, a volte drammatica della povertà, ma percepisce l’appello forte che viene dal Vangelo a vivere il processo di incarnazione nella storia di oggi, imparando a guardarla con gli occhi e il cuore di Dio. La sfida è quella di non cadere nell’illusione frustrante di voler risolvere tutti i problemi, ma è quella di assumerli, imparando a promuovere la vita di ogni persona, onorandola nella sua sacralità e unicità. In modo molto chiaro la povertà, con le sue nuove sfaccettature, ci provoca alla conversione, alla revisione del nostro stile di vita e della modalità con cui viviamo anche la fede.
Oggi, più che mai Caritas è chiamata a rispondere con forza alla sua missione educativa e pedagogica attraverso opere concrete che aiutino le persone e la società a farsi le domande giuste. È importante che si riscopra la centralità della persona e che ad ognuno venga offerta la possibilità di riattivare le proprie risorse. Dinanzi alle difficoltà crescenti che stanno mettendo in difficoltà molte famiglie e alla solitudine che imprigiona la voglia di vivere di molti uomini e donne, come Caritas dobbiamo riconoscere il nostro limite e la nostra impotenza. Non è possibile rispondere alle difficoltà attuali con una logica basata ancora una volta sulla forza delle risorse di cui si dispone. È necessario incidere strutturalmente sugli stili di vita, sulle scelte politiche delle istituzioni e anche della Chiesa, superando la logica dell’elemosina e dell’opera di carità fatta una tantum. Si tratta di attivare percorsi di condivisione e di prossimità, in cui non ci si limita a dare il superfluo, ma ci si assume la responsabilità di disegnare percorsi di equità e giustizia.
Siamo chiamati ad amare il nostro tempo, cioè a vivere il presente come il tempo di Dio che è stato assegnato alla nostra generazione, ma insieme rifarci al passato – senza nostalgie o rifiuti – per trarne indicazioni feconde ma anche per romperne le incrostazioni; aprirci al futuro come promessa di un compimento progressivo del disegno di Dio, senza peraltro cedere alla tentazione del disimpegno o dell’evasione in sogni improbabili. Il presente da vivere nella concretezza e nella fedeltà si colloca così fra due poli: il passato da cui trarre ispirazione superandone i condizionamenti, il futuro da preparare con una creatività che porti a esplorare l’inedito e a inventare il nuovo. Questa dinamica del divenire che coinvolge tutti, ma che per il cristiano si fonda sulla fede, esige allora un costante atteggiamento di ricerca, una permanente disponibilità al cambiamento, una chiara consapevolezza del provvisorio e della necessità di dover reinterpretare a ogni svolta la trasformazione per approdare a sintesi sempre nuove. Ciò suppone una sorta di spiritualità da pellegrini o meglio ancora da nomade che impedisce di installarsi su posizioni acquisite, e consente di spostarsi là dove lo Spirito chiama, lasciando comodità e sicurezza e assumendo il rischio della precarietà e dell’imprevisto. Una spiritualità della tenda, che costringe a una essenzialità che è tipica di chi ha scelto la radicalità evangelica come condizione di libertà per il regno. Tutto questo è profezia.
Amare il proprio tempo significa anche accettarlo con le luci e le ombre che lo caratterizzano, aperti alle nuove esigenze culturali e sociali, ma anche pronti alla denuncia profetica, alla presa di distanza dalle manifestazioni negative della modernità. Per questo occorre conoscerlo, questo nostro tempo, saperlo «ascoltare» e «leggere», con mente aperta e cuore libero, per scorgervi, nella trama dei fenomeni e degli avvenimenti, quelle indicazioni che oggi chiamiamo «segni dei tempi», i quali si manifestano come indicatori della storia di Dio in mezzo agli uomini.
In un determinato periodo della sua storia la Caritas ha attivato molti servizi che hanno intercettato il bisogno di molti poveri e che sono arrivati al cuore della società come parole forti che hanno smosso la coscienza e portato ad emersione molte domande scomode. Oggi, pur mantenendo un impegno concreto nel servizio alle persone, Caritas avverte la necessità di stimolare le istituzioni e le comunità cristiane a considerare i poveri come risorsa e parte integrante della società. Si tratta di maturare la consapevolezza che la situazione degli altri, soprattutto dei più poveri ci riguarda, ci appartiene. È necessario maturare un senso di responsabilità che ci aiuti a custodire e promuovere la dignità di ogni persona. Le scelte sociali, economiche, politiche, religiose devono avere come criterio non quello dell’interesse, ma il bene della persona e quindi della comunità. Si tratta allora di affermare con coraggio che la lotta alla povertà è un capitolo che deve restare sempre al centro e che chiede la lungimiranza di strutturare delle attenzioni e dei servizi per promuovere un mondo migliore.
La Caritas avverte la necessità di annunciare attraverso le sue scelte l’annuncio evangelico che ha come conseguenza la scelta preferenziale dei poveri. È stato percorso un tratto di strada molto importante, ma il cammino che ci sta davanti ci invita a lavorare in rete per costruire ponti di comunione e di solidarietà dove siano salvaguardati la dignità e i diritti di ciascuno. L’attenzione al povero e la carità devono diventare sempre più il cuore che orienta le scelte e le linee della società e della Chiesa.