Gli eventi che il 26 giugno hanno insanguinato l’umanità, sono stati sintetizzati dai mass media nell’espressione “venerdì nero”. Ogni giorno ad ogni latitudine e longitudine del globo ci sono milioni di persone che vivono il loro venerdì di passione, sofferenza e morte. E tutto questo, purtroppo, scorre via nella totale indifferenza dei più, anzi spesso si usa tutto questo per ingenerare paura e diffidenza verso l’altro. Tutto quello che sta contrassegnando il nostro tempo merita riflessioni politiche ben più profonde delle strumentalizzazioni di chi cerca facili consensi sull’onda dell’emozione. Approfondire dei fenomeni sociali così preoccupanti non significa negare le responsabilità individuali dei colpevoli, ma porre le basi affinché il futuro comporti minori rischi collettivi.
E’ chiaramente in atto una forte accelerazione degli eventi connessi al terrorismo. La strategia di chi muove le leve di questo fenomeno ha impresso un ritmo incalzante alla realizzazione del nuovo tipo di conflitto mondiale: quello tra civiltà e culture differenti, ed in particolare tra Islam e Occidente. La successione degli attentati, e l’innalzamento del livello generale di ansia, odio e paura stanno producendo un allargamento rapido delle aree grigie del mondo. Questo ha una influenza diretta su ognuno di noi. E’ una sfida crescente alle nostre capacità di trasformare i fatti, i pensieri ed i sentimenti negativi in occasioni di crescita. L’unica risposta positiva possibile a questo “avvitamento” negativo della situazione è quella di attuare un rovesciamento degli impulsi negativi. Per prima cosa occorre evitare di chiudersi, e darsi da fare per trasformare in Bene quello che si presenta come Male, attraverso un aumento deciso nel quotidiano delle nostre attività ispirate dall’amore nei confronti degli altri. Amare gli altri significa fare quello di cui le persone intorno a noi hanno bisogno per la loro crescita, senza egoismi… E che noi, proprio noi, possiamo dare… del nostro tempo, delle nostre capacità, dei nostri talenti, del nostro denaro: amare significa dare pezzi di sé senza chiedere nulla in cambio. E significa anche informarsi a vicenda, chiarirsi le idee, sostenersi, darsi fiducia e speranza in questi tempi di grande sfida… La nostra capacità di illuminare le aree grigie intorno a noi è molto più forte di quanto non pensiamo: usiamola…
Che cosa diciamo ai bambini di quanto succede in questi giorni? Che cosa diciamo al nostro “bambino interiore” sgomento davanti agli schermi, ai giornali, ai monitor, che ci fanno partecipare al dramma con una intensità raramente provata prima ? Che cosa diciamo, per non perderci nel già detto della retorica, nelle facili risposte dell’odio o nell’ancor più facile rimozione di tutto l’accaduto, come fosse un altro terribile film? Ci sono delle cose che non capiamo. Ci sono delle cose in cui non c’è niente da capire, c’è solo da agire perché non succedano più. E allora qualcosa dobbiamo dire, qualche cosa dobbiamo fare. Perché il rischio è quello di lasciarsi sopraffare dall’angoscia. Non rimaniamo inermi ed impotenti davanti a ciò che succede, c’è molto da dire, c’è molto da fare. Siamo tutti abitanti di questo stesso pianeta e non ne abbiamo uno di ricambio e dovremo trovare il modo di vivere tutti insieme. Ogni momento è buono per cominciare a “utilizzare” ciò che succede, anche ciò che succede di brutto, di molto brutto, non come una scusa per creare ancora più odio, ancora più divisione, ancora più violenza, ma per rafforzare la nostra volontà di trovare prima di tutto cosa ci accomuna come esseri umani. È necessario fare leva su quanto di bello, di grande e di glorioso condividiamo con tutti gli esseri umani, possiamo provare a immaginarci tutti come tessere di un unico mosaico, diversi nella forma e nella funzione ma tutti accomunati da una stessa finalità: vivere e far vivere la bellezza del mosaico stesso.
Credo sia importante che non ci lasciamo rubare la speranza e che sappiamo guardare al nostro mondo con fiducia e benevolenza. È necessario maturare la capacità di cogliere i segni di vita che germogliano anche nella terra arida. Proprio mentre nel mondo si stavano tessendo le trame di questi drammatici eventi, a Santa Maria di Sala, piccola comunità della nostra diocesi, il parroco don Paolo, ha trovato Martina, una bambina nata da poche ore posta in una borsa, alla porta della canonica. Più che ricercare le motivazioni di chi l’ha lasciata lì, credo sia importante che guardiamo alla forza di Martina, alla sua voglia di vivere, alla gara di solidarietà e amore che il suo ritrovamento ha innescato, alla certezza che “la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”.
Dinanzi a tutto questo ho maturato questa convinzione: chi trova un porto sicuro nel momento del rischio supremo, chi è accolto da un ambiente che gli garantisce la sicurezza e il pieno sviluppo della propria libertà e personalità, è destinato a diventare il primo difensore di quel luogo, di quella libertà e di quella comunità contro qualunque minaccia o terrorismo. Che si tratti di una neonata abbandonata o dei migranti odierni in fuga dal terrore nel cuore del Mediterraneo.