Sono rientrato da pochi giorni da una missione in Repubblica Democratica del Congo, e più precisamente a Bondo nel nord del paese. È la città dove, attraverso un articolato progetto di cooperazione con Regione Veneto, Governo Italiano, ULSS 9 e chiesa locale, la nostra Diocesi di Treviso ha contribuito alla realizzazione dell’ospedale Ntongo Etani, che nella lingua locale (lingala) significa il sole sorge.
In questa città difficilmente raggiungibile per la mancanza di vie di comunicazione e che conta oltre 70.000 abitanti, la struttura ospedaliera di Ntongo Etani si pone come un raggio di luce e speranza in un mare infinito di sofferenze e di dolore. È il segno concreto che un domani migliore è ancora possibile, che tutto non è perduto. La sofferenza è tanta e si fa sentire in tutta la sua pesantezza, ma la speranza è più forte, è più grande !
Appena giunto in ospedale ho fatto il giro degli ammalati insieme ai medici con i quali ho fatto il viaggio. Le persone segnate dalla sofferenza con grande dignità ci hanno dispensato sorrisi luminosi e gesti di accoglienza. Tra gli intensi odori dei farmaci la nostra presenza si posava leggermente sul capo di queste persone come segno di speranza e di fiducia. Personalmente ha vissuto queste ore come un pellegrinaggio presso il santuario più importante che esista e presso il quale recarsi con attenzione e profondo rispetto: la vita dell’uomo, il suo cuore.
Verso la conclusione della visita i miei occhi hanno incrociato quelli di una giovane mamma che assisteva, impotente, alle sofferenze del figlio affetto da idrocefalia. I medici, consultandosi tra loro, sono arrivati presto alla conclusione che la salvezza per quel bimbo era in un intervento chirurgico finalizzato a creare una derivazione per il liquido encefalico …. soluzione impossibile da concretizzare in quel contesto, quindi la sentenza irrevocabile, sminuzzata sotto voce, è che in breve tempo quel bambino sarebbe morto … Nell’ascoltare quella cruda e dura sentenza, mi sono girato verso quella mamma. Aveva un volto luminoso, degli occhi grandi e profondi, uno sguardo che cercava una speranza, una parola, un segno. Teneva tra le mani un fazzoletto, lo girava e lo rigirava. Sembrava volesse dire “fatemi capire, ditemi che c’è una via di uscita, fate qualcosa perché questo mio figlio viva”. Stringeva il fazzoletto come a dire che lei non si arrendeva, che la sua speranza non sarebbe venuta meno fino a quando le sue lacrime avessero intriso di tutto il suo dolore quel fazzoletto. Agitava le mani con un carico d’angoscia che racchiudeva tutta la sofferenza di quella spada che le stava trafiggendo il cuore. Sono rimasto a guardarla in silenzio, le ho messo la mano sul capo …. lei mi ha sorriso, ha preso la mia mano, l’ha fatta scivolare sul suo volto perché raccogliesse, come eredità di un desiderio immortale, le lacrime del suo volto. Sono uscito da quella stanza, inchiodato da quelle lacrime. Di quel bambino e della sua mamma non so neanche il nome, ma quel fazzoletto, intriso di lacrime ed angoscia, ha segnato profondamente il mio cuore e mi ha aperto alla certezza che i loro volti saranno per sempre custoditi dalla potenza della preghiera … non saranno dimenticati …. mai !!!
A qualche giorno di distanza, ripensando al volto di quella mamma e di quel bambino, mi vengono alla mente tutti quei fazzoletti girati e rigirati dalle mani di molte madri, intrisi dalle loro amare lacrime. Credo che vera Carità è custodire nella preghiera i loro cuori, le loro angosce e le loro sofferenze. Quel fazzoletto mi ricorda il pianto di madri inchiodate al capezzale dei loro figli ammalati, di madri inchiodate all’uscio di casa da dove hanno immortalato per l’ultima volta il volto dei loro figli inghiottiti dalla violenza delle guerre e delle ingiustizie, di madri inchiodate alla finestra in attesa che il figlio rientri a casa, di madri inchiodate alla speranza di poter riabbracciare quei figli che l’imponderabile mistero della vita ha strappato loro. Quel fazzoletto si è impresso nel mio cuore come segno di dolore, ma soprattutto come desiderio di vita, di una vita che è più forte anche della morte. Non posso e soprattutto non voglio dimenticare, ma desidero restare dentro a questa umanità per condividerne le gioie e i dolori, per essere in Cristo, vero uomo.
Concludo questa mia riflessione con questo breve racconto che mi è tornato alla mente e che ci ricorda l’importanza di quel fazzoletto. Alla scuola materna, un bambino portava sempre due fazzoletti. La maestra gli chiese perché: “Uno è per soffiarmi il naso; l’altro per asciugare gli occhi di quelli che piangono”.
E tu nella vita di tutti i giorni, li porti due fazzoletti?