Fin da ragazzo il mio cuore è stato abitato da tanti desideri, soprattutto dal desiderio di un mondo migliore. La bellezza della comunione e della pace mi ha sempre affascinato. La dimensione del “nostro” mi ha sempre entusiasmato e alcuni passaggi della storia, come la caduta del muro di Berlino nel 1989, hanno infiammato di speranza il mio animo. Nell’incontro con le persone ho potuto sperimentare come ogni uomo va tutelato nel suo diritto di sognare, di sperare, di lottare per una vita migliore. I sogni non possono essere calpestati e nessuno deve essere messo nella condizione di rinunciare ai propri sogni. Dobbiamo tenere vivo, dentro questa umanità, il fuoco della comunione che ci dona di riscoprirci unica famiglia umana. Il particolare non può prevalere sull’unità.
In questo tempo in varie parti del mondo, ma soprattutto nel cuore dell’uomo, stanno soffiando venti di separazione e di divisione. Si alzano muri per respingere l’altro. Ci si nasconde dietro a ragionamenti individualistici che promuovono l’indipendenza, la secessione, l’autonomia. Il problema sta tutto qui. Si è persa la visione del bene comune, della bellezza della comunione. Ciò che sta a cuore è il mio bene, il nostro bene; gli altri …. si arrangino perché le loro fatiche non sono affare nostro. Riteniamo che i traguardi raggiunti siano esclusivamente frutto del nostro sudore, per cui se altri sono rimasti indietro è perché sono “fannulloni” o perché non sono bravi come noi. Ma è proprio cosi ? Siamo così bravi e buoni da poter giudicare il mondo con i nostri criteri ?
Credo che sia necessaria una bonifica dei sentimenti che abitano il nostro cuore, per ritrovare la forza della carità e della comunione, che non è né elemosina né assistenzialismo. Vivere la carità è prima di tutto un cammino di comunione e di condivisione. La logica dominate non deve essere quella del potere e della forza, ma quella del servizio e della generosità. È la dinamica dei cinque pani e due pesci, del poco che nelle mani del Signore diventa dono sovrabbondante. In questa logica della condivisione non ci è chiesto di dare il necessario o il superfluo, tanto o poco, ma semplicemente tutto. È la radicalità evangelica che chiede “al chicco di grano, caduto in terra, di morire per portare frutto”. La Carità chiede allora di superare il proprio orgoglio e il proprio egoismo, per trasformare il “mio” ed il “tuo” in “nostro”. È la forza della condivisione che abbatte i muri, scioglie le indifferenze, accorcia le distanze. Siamo allora chiamati a condivider il pane, la casa, le risorse, ma ancor di più il senso della vita e le ragioni della nostra speranza. Siamo chiamati a condividere l’esperienza di Amore di Gesù che riscalda il cuore e ci dischiude gli orizzonti di una fraternità che è per sempre. Condividere significa spezzare il pane della nostra vita perché tutti ne possano mangiare, significa dare ad ognuno la possibilità di sentire il suo cuore inondato di fuoco vivo quando realizza il bene. La condivisione è la strada maestra perché nelle nostre case, nelle nostre vie resti sempre accesa la lanterna della speranza e della carità.
La Carità però chiede anche tanta umiltà e ci chiede di avere sempre l’onestà e il coraggio di orientare al Maestro, di rinviare alla sorgente. Servire Carità chiede prima di tutto un cuore libero e trasparente. Non ci devono essere doppi fini. La gioia più grande è quella di vedere che l’incontro con Cristo risana e dona nuovi orizzonti a chi sembrava ormai perso nei meandri dell’oscurità e del non senso. Condurre a Cristo è la più grande forma di carità e questo non possiamo mai dimenticarlo. Certamente questo non avviene in una forma magica o dottrinale, ma attraverso la pedagogia dei fatti, attraverso una quotidianità che orienta sempre alla ricerca del senso pieno della vita.
Essere credibili agli uomini e alle donne di oggi, è possibile solo se, nella fede, siamo profondamente uniti a Cristo, come i tralci con la vite. La fede è un cammino, ma è fondamentale percorrerlo con coraggio se vogliamo essere strumenti di carità. Si tratta di camminare per imparare a vivere nella certezza che la Pasqua sconfigge il nostro peccato, frantuma le nostre paure e ci fa vedere le tristezze, le malattie , i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”. Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo. La generosità senza fede non è carità e prima o poi collassa su se stessa.
Se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili è solo la carità che ci fa essere creduti. Fede, speranza e carità sono inscindibili se vogliamo veramente essere sale della terra e luce del mondo, se vogliamo cambiare il mondo attraverso la carità.