Il cammino sinodale della nostra Diocesi e i continui appelli che ci vengono da Papa Francesco ci stimolano a comprendere come la carità è la profezia che parla all’uomo di questo tempo, che è capace di leggere i segni dei tempi condividendo gioie e dolori con ogni essere umano, che sa dialogare con la cultura e generare vita nuova. Una chiesa profetica che vive la carità ridiventa capace di consegnare il dono immenso del Vangelo. È una sfida impegnativa, che chiede di dismettere logiche di potere e di forza, ma è autentica e bella.
La carità è profezia se genera cambiamento e ha la capacità di trasformare o quantomeno di incidere significativamente in maniera positiva sulla cultura stessa, eventualmente anche senza parlare; senza cioè la necessità di dover per forza di cose argomentare. La carità genera la cultura del dono e il dono più grande consiste nella restituzione della dignità della persona. Il magistero di Papa Francesco e anche il cammino sinodale della nostra diocesi, dunque, ci orientano a considerare che la pedagogia della carità oggi non può prescindere da un costante ed approfondito discernimento, che è parte integrante del percorso metodologico della Caritas. Inoltre la dimensione educante della Caritas per essere profetica e costruire cultura, deve promuovere il “bello”, deve prospettare una visione della bellezza che sia positiva, che aiuti a lenire le ferite. Tutto questo oggi potrebbe quasi, allora, tradursi in una sorta di mandato ad essere “artisti di carità”.
Per vivere questo mandato è necessario che la chiesa sappia vivere alcune dimensioni fondamentali di attenzione all’uomo. È necessario non assoggettarsi alle logiche del potere che sovente sono violente e calpestano la dignità dell’uomo. Per vivere la profezia della carità e parlare al cuore dell’uomo d’oggi, la comunità cristiana deve riscoprirsi chiesa di Dio.
Una chiesa povera con e per i poveri, capace di annunciare il Vangelo all’uomo d’oggi nella misura in cui sa spogliarsi della propria presunzione e del proprio orgoglio. È necessario guardare a Gesù, affidarci a Lui e scegliere la via della radicalità evangelica per entrare in sintonia con il cuore ferito di ogni uomo. Non si tratta di solo di fare o di essere per i poveri, ma di essere e camminare con loro. Attraverso la testimonianza di segni semplici e veri, attraverso gesti poveri ma profetici, siamo chiamati ad avviare processi di vita nuova in cui viene affermato il valore sacro di ogni persona. Dio facendosi uomo ha ricolmato del suo amore e della sua grazia i passi del nostro cammino. Una chiesa povera con e per i poveri ci ricorda che «se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili, è solo la carità che ci fa essere creduti» (don Tonino Bello).
Abitare le periferie esistenziali è la modalità concreta con cui si sperimenta che il Vangelo è vita, non è una sintesi di valori e idee buone per una convivenza pacifica e dignitosa. È necessario che cresciamo nell’amare questa umanità, questo mondo, questa storia con le sue fragilità e contraddizioni. Sono necessari gesti semplici che ci liberino dal ricercare l’ideale, per accogliere ed amare l’uomo concreto che incontriamo nelle strade della vita. Si tratta di vivere forme di prossimità e condivisione che ci aiutino a tracciare sentieri di solidarietà e ci donino di mantenere sempre viva la domanda sul senso della vita, sul senso della sempre sorprendente storia di alleanza tra Dio e l’uomo.
Essere chiesa in uscita per vivere una profezia significativa, che oggi siamo chiamati a consegnare al nostro tempo. Si tratta di essere una chiesa capace di lasciare i propri schemi e di lasciarsi condurre dallo Spirito anche su sentieri inediti ed inesplorati. Essere chiesa in uscita significa essere capaci di tessere comunione, di costruire relazioni altre nella continua ricerca della verità e della libertà. Una chiesa aperta che si lascia contaminare, e a volte anche ferire, come Gesù maestro … e questo solo per amore, È farsi piccoli, perché risalti la grandezza della Carità di Cristo, è, come dice San Paolo, riconoscere che siamo fragili vasi di creta che contengono un tesoro prezioso.
Dare voce a chi non ha voce è quell’azione che ci ricorda che abitare e amare il mondo non significa offrire benevolenza, rimanendo alla finestra della storia a guardare. Gesù ha amato ogni uomo, ma si è schierato dalla parte dei più fragili e vulnerabili. Il Signore ci ricorda che la neutralità non è evangelica, è necessario schierarsi. Si tratta di affermare il primato della vita, di stare dalla parte degli ultimi dando voce a chi è scartato dalle logiche di forza e potere. Si tratta di riscoprire il mandato a custodire i propri fratelli e di lottare per la giustizia e l’equità. Significa avere a cuore l’unità della famiglia umana, riconoscendo il valore di ciascuno. Più che mai nel contesto attuale questa voce è chiamata ad essere un richiamo profetico, capace di scuotere le coscienze anestetizzate, per abbattere il muro dell’indifferenza e le malvagie logiche dello scarto.