Da pochi giorni nella Casa della Carità è stata avviato il servizio della mensa, dove alla sera viene offerto un pasto caldo a quanto sono stati relegati dalla vita a vivere ai margini. “Dar da mangiare agli affamati” è la prima delle sette Opere di Misericordia, ma è un invito che troviamo già in Mt.25, in Isaia 58, Prv. 25 e in tanti altri passi delle Scritture ed è la più bella e grande delle preghiere che recitiamo con maggior frequenza “..dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Il mangiare come bene primario, che a nessuno vorremmo vedere negato e il mangiare come il momento di convivialità per eccellenza, dove le barriere cadono, la formalità lascia spazio alla leggerezza e la vicinanza degli sguardi obbliga e regala comunione.
Il dovere di essere presenza autentica nel bisogno primario del dare un pasto caldo a chi non l’avrebbe altrimenti, è sempre stato una spinta e insieme un sogno che oggi finalmente trova concretezza per tutta la famiglia Caritas: a cominciare dagli ospiti che ne usufruiranno, insieme ai volontari e agli operatori, che insieme hanno contribuito a far crescere il progetto. Desideriamo che la Mensa della Casa della Carità apra all’insegna del “Bene fatto Bene”: si alla gratuità, quindi, ma con cuore e spirito pronto ad accostarsi in punta di piedi al fratello più povero e con l’attenzione ai dettagli anche pratici del servizio.
L’obiettivo è quello di una mensa a “costo zero”, nella quale confluiscano le forze del territorio. Il sogno è quello di un luogo dove il territorio esprima la forza della solidarietà
attraverso l’impegno dei volontari, l’attenzione delle aziende e la generosità dei privati, per arrivare ad una “mensa a costo zero” e per abbattere ogni forma di spreco.
Lo spreco di cibo è un fatto cronico e strutturale: potrebbe essere definita una «struttura di peccato» del nostro tempo. Che gli sprechi alimentari ammontino a 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ogni anno, cioè un terzo della produzione mondiale, fa riflettere. Di questi, 670 milioni di tonnellate sono buttati nei paesi industrializzati, mentre 630 milioni in quelli in via di sviluppo.
In Italia ogni giorno finiscono nella spazzatura 4.000 tonnellate di cibo ancora buono, che al termine di un anno raggiungono i 6 milioni di tonnellate, ossia poco meno di un quinto dei rifiuti urbani prodotti. La disponibilità di cibo nel mondo supera di oltre il 20% quanto basta a far mangiare tutti. Sarebbe sufficiente un quarto del cibo gettato ogni anno per risolvere il problema della denutrizione. Per questo cibo prodotto e sprecato in 12 mesi nel mondo s’investe un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga, si utilizzano 1,4 miliardi di ettari di terreno e si provocano 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Il cibo scartato ha un’impronta ecologica enorme: sono in gioco sia la sostenibilità ecologica, sia la giustizia tra le generazioni. Papa Francesco in un passaggio della Evangelii gaudium (n. 191) afferma: «Ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco». Il troppo e il troppo poco sono due facce della stessa medaglia: il non riconoscimento dell’altro.
La fame è frutto di un processo globale: «Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile». Mentre fa notizia il calo di percentuale della borsa, diviene trascurabile o inevitabile alla logica del sistema la morte di una persona per povertà. È una cultura che non scarta solo rifiuti-oggetti, ma genera rifiuti umani. Non scarta solo il cibo, ma anche le persone che sono considerate strumenti nel tritacarne del desiderio individuale di consumare. Questa mentalità contagia tutti: la persona non è più considerata un valore primario da promuovere, ma scarto da buttare. Questa logica va trasformata. Lo si può fare solo a condizione di rimettere al centro il valore della persona umana. La soluzione alternativa sta nell’affidare ai poveri il ruolo di protagonisti. Si tratta di organizzare le persone e camminare con i poveri. Serve un cambio di paradigma: il riconoscimento cioè che in diverse situazioni le periferie sanno adottare logiche inclusive attraverso il confronto, la contaminazione dei modelli di vita, l’affidarsi a stili di vita non consumistici. La fede alimenta una consapevolezza: ciò che l’uomo scarta può divenire pietra angolare agli occhi di Dio. Vi è un potenziale di salvezza racchiuso negli scarti: sono un invito ad accogliere il limite e a comprendere il senso profondo della convivialità. La strategia dello scarto oggi produce esclusione e marginalità. Ripartire dai rifiuti umani perché siano al centro di una nuova cultura della condivisione finirà per rinnovare la nostra umanità.