Morire di speranza - CARITAS TARVISINA

Morire di speranza

Dinanzi al dramma immenso di persone che continuano a morire nei cosiddetti viaggi della speranza, dinanzi agli occhi affamati di vita di chi è relegato alla periferia della storia, desidero che ognuno possa essere toccato dalla forza d’amore del Vangelo che ci ricorda in maniera inequivocabile che la vita è un dono, che ogni vita è sacra e va onorata e rispettata sempre.

Calpestare la dignità e la vita dell’uomo, è calpestare la vita di Dio. Credo sia importante ogni giorno della nostra vita che impariamo a fare silenzio dinanzi a tutte le tragedie che quotidianamente inghiottono la vita e la speranza di molti uomini e donne. Non è un silenzio di rassegnazione, ma è uno spazio di memoria e vita dove far risuonare l’annuncio che l’ultima parola sulla nostra storia è la Vita, è l’Amore. È un silenzio nel quale siamo chiamati a metterci in ascolto della Parola, di quel Dio che ci parla attraverso l’anelito di speranza che sale dal cuore piagato dalla sofferenza di molti fratelli che lasciano la loro terra per avere salva la vita. Ascoltare il grido di questi nostri fratelli significa custodire per sempre nel nostro cuore la memoria della loro esistenza, anche quando questa tragicamente è stata inghiottita dalle acque gelide del mare o soffocata dalla sabbia bollente del deserto. Ascoltare significa non lasciare che il nome e la storia di questi nostri fratelli spariscano nell’oblio della nostra indifferenza. Significa credere veramente che l’Amore inserisce nell’eternità ogni persona, ogni frammento di vita perché unico ed irrepetibile. E ricordiamoci sempre che non si può dire di amare Dio che non vediamo se non siamo capaci di amare il fratello che vediamo. L’amore vero e pieno è verso Dio e verso l’uomo, ogni uomo che è nostro fratello.

L’anelito al futuro, alla speranza di un domani migliore, che come brezza leggera ha infiammato il cuore di questi nostri fratelli, si sta trasformando in un vento impetuoso che sta travolgendo le strutture arcaiche di equilibri geopolitici, intrisi di iniquità ed ipocrisia. È necessario che ci mettiamo in ascolto di questo vento e della novità che cela dentro le sue improvvise folate. Esso ci dice che una parte di umanità è stanca di vivere soffocata e schiacciata dal potere arrogante di pochi. C’è un desiderio di vita dignitosa, in cui ciascuno possa avere la libertà di respirare l’aria e di calpestare la terra come patrimonio che appartiene a tutti. Fino ad ora abbiamo fatto finta di niente. Abbiamo tollerato che il principio delle strategie internazionali fosse quello del ritorno economico a discapito dell’osservanza degli stessi diritti umani. Siamo colpevoli di non aver ascoltato questo vento, di esserci voltati dall’altra parte. Gli immigrati che lasciano la loro terra possono essere profughi, clandestini, richiedenti asilo … o forse semplicemente uomini e donne, nostri fratelli, che non ne possono più di rimanere incatenati ai ceppi dell’ingiustizia e dello sfruttamento. Questo vento rischia di spazzare via tutto, di lasciare molte ferite, ma perché non lo abbiamo ascoltato nel suo sorgere ? Perché abbiamo fatto finta di niente? L’ingiustizia tollerata per troppo tempo, gli ammiccamenti a governi che sistematicamente calpestavano i diritti e la dignità degli uomini ci chiedono ora di pagare il conto, ci viene chiesta giustizia.

Allora propria alla luce del Vangelo vorrei dire a tutti coloro che cavalcano l’onda del populismo di dare contenuto e credibilità alle loro parole. Quando un segretario di partito (Matteo Salvini) dichiara che quanti arrivano attraversando il Mediterraneo sono un’arma chimica, portatrice di malattie e volta ad annientare il popolo italiano (o padano ?) non solo dice delle fesserie, ma svela il suo livello culturale e di conoscenza, su cui è opportuno non aggiungere altro. E quando lo stesso leader lancia proclami dicendo “Aiutiamoli a casa loro” si prenda la briga di spiegare cosa significa questo in ordine alla giustizia, all’equità e alla restituzione per le tasche di tutti noi che fino ad oggi abbiamo costruito il nostro benessere sulla povertà di altri. Cominci a tradurre nel concreto di scelte credibili questo slogan che infiamma le piazze, ma che nella realtà dei fatti non è mai stato portato avanti. Fa riflettere come molte persone, anche cristiani, si scaglino addosso a queste persone per i 30 € che vengono riconosciuti per il loro sostentamento e contemporaneamente si adeguino ad uno stile di vita che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri, drenando migliaia e milioni di euro. Lasciarsi addomesticare dalla corruzione e dall’ingiustizia è un peccato, un peccato grave.

La speranza apre alla vita, ma chiede che ci siano uomini e donne vere che sanno incarnare i valori della giustizia e dell’equità. Papa Francesco ogni giorno ci ricorda qual è la strada da percorrere, lasciamoci accompagnare da lui nel vivere il Vangelo della Carità e della Libertà.

Concludo con questa lettera che più di tante parole ci invita a custodire nel cuore la vita di chi nel suo viaggio ha incontrato sorella morte:

 

Lettera dal fondale del Mediterraneo e la scrive Hamid Barole Abdu:

Cara mamma, ti scrivo da un acquario/ uno spazio infinito senza mormorio /dove tutti dormono sonni profondi/ come le mummie dei faraoni. /Qui il tempo non è scandito da notte e dì/ C’è tanta pace, è una vita da angeli/ un vero Paradiso nel fondale marino,/ si vive senza acqua e senza cibo/ non si lavora e non si fa alcuna attività/ ci si rilassa in eternità.

Cara mamma, ti chiedo scusa / quando me ne andai non dissi nulla / la partenza fu per me uno scherzo/ avrei voluto salutarti e darti tanti baci,/ farmi stringere dai tuoi abbracci/ come hai sempre fatto prima che io uscissi/ per andare a scuola o per giocare./ So che mi perdonerai/ nelle preghiere mi ricorderai.

Cara mamma, ho tanta voglia di scriverti,/ le mie avventure sono tante:/ era la prima volta che salpavo sul barcone/ con altri coetanei del quartiere./ Il mare era sereno con un bel sole/ l’alba silenziosa senza parole/ gabbiani sopra le nostre teste volavano /a modo loro ci auguravano buon viaggio./ Dopo alcuni giorni senza acqua né cibo/ con gli occhi sbarrati notte e giorno./ Il barcone in mezzo al mare/ il motore smise di funzionare./ Le nostre risate furono interrotte dal panico/ onde alte iniziarono a farci sollevare,/ e tutti coperti dal barcone rovesciato/ nessuno di noi sapeva nuotare/ e così fummo risucchiati in fondo al mare.

Cara mamma, ti ricordi quando ero bambino,/ una gran paura avevo dell’acqua/ persino nella bacinella non volevo lavarmi/mi versavi l’acqua con i piedi inchiodati per terra.

Cara mamma, ti scrivo da qui: dal fondale abitato da gente di tutto il mondo/ piccoli, adulti e famiglie intere/ una grande comunità nel limbo in fondo al mare.


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