La scorsa settimana Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha affermato che “è una vergogna che l’Europa si svegli solo dopo tragedie nelle quali il mare ha inghiottito centinaia di persone, spezzandone definitivamente i sogni e la vita.
Con tutto il rispetto che nutro per le istituzioni ritengo che sia troppo poco vestire i panni della vergogna e quelli del pietismo di circostanza. Dinanzi al dramma devastante di milioni di persone che scappano dalla morte e dalla sofferenza è necessario che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e che le diverse situazioni vengano chiamate per nome.
È una vergogna che nessuno in sede istituzionale affronti la questione relativa alle nuove migrazioni con uno sguardo a 360° gradi. Non si può continuare a guardare al fenomeno migratorio esclusivamente come ad un problema, senza considerare i danni che come Europa abbiamo creato con la colonizzazione e ora con dinamiche economiche e finanziare che continuano a schiacciare il sud del mondo. Non esiste guerra, sofferenza, povertà che non abbia radice nell’ingiustizia creata dalle mani dell’uomo. È da persone prive di intelligenza credere che le devastazioni e lo sfruttamento di milioni di persone a beneficio del benessere di pochi non avesse delle conseguenze che sono quelle che stanno contrassegnando in questo tempo la nostra storia, la nostra umanità. È una vergogna che gli stati europei continuano a giocare al “risiko” delle quote considerando milioni di persone solo come una voce di spesa, calpestandone la dignità e i sogni di vita. L’Europa che si chiude a riccio, per salvaguardare il proprio benessere, sta diventando sempre una fortezza, la fortezza dei forti che, anestetizzando la coscienza e trovando una montagna di giustificazioni, non si fanno scrupoli ad annientare ed eliminare i deboli. È una vergogna il modo di agire della politica italiana che non vuole affrontare questioni di senso epocali. Il problema non sono gli altri, il problema è l’Italia e basta. Il nostro Paese ha un problema quarantennale, da quando nel 1974 si è trasformato da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. Non esiste quindi una “emergenza immigrazione”. L’unica emergenza è la perdurante impreparazione dell’Italia davanti a questo inevitabile fenomeno sociale. Il nostro Paese deve fare i conti con la sua storia di migrazioni – è sempre stato il territorio di incontro di popoli lontani e diversi e dal Paese sono emigrati in un secolo 29 milioni di italiani – e deve ricordarsi la sua posizione al centro del Mediterraneo, non sta di certo sul mare del Nord. Il Mediterraneo è da molti anni circondato da situazioni di grave instabilità ed è un mare facilmente navigabile. Sembra che ci accorgiamo solo ora che i nostri vicini sono soggetti ai flussi migratori. Ci dobbiamo attrezzare per avere 200mila posti per l’accoglienza, non 30mila. E invece sottovalutiamo sistematicamente l’immigrazione. Noi abbiamo 8mila chilometri di coste sul mare più navigabile che esiste e non ci siamo preparati, e andiamo in giro a dire che la colpa è degli altri. Non basta urlare “cattivo” al cielo sperando che smetta di piovere. Il rischio è che non avendo aperto un ombrello, cioè essendosi ostinati i poteri pubblici italiani a sottovalutare i nuovi flussi migratori e a non prepararsi credendo che siano momentanei e non strutturali, anziché la pioggia ci becchiamo proprio il diluvio. È una vergogna che gli organi di informazioni continuino a generare paure giocando sull’emotività delle persone. È una vergogna la mediocrità e la superficialità con cui molti cristiani stanno affrontando questa emergenza nuova. È una vergogna santificare la festa, sedersi al banchetto eucaristico e poi rinchiudersi nel quotidiano in un becero individualismo che tutti classifica e tutti respinge, perché non conformi alle proprie regole. Non si può pregare il Padre nostro con le labbra, appaltando il proprio cuore a spinte xenofobe e sempre più intolleranti verso i deboli. È vergognoso che si voglia difendere il crocifisso di legno, quando poi si rifiutano e si calpestano i crocifissi nella carne che sono accanto a noi.
È ora di finirla con queste strategie che cercano di salvare il nostro benessere che poggia sulla miseria altrui. È necessario che ci impegniamo a camminare seriamente sui sentieri della giustizia, ricordandoci sempre di non confondere quello che spetta per giustizia con la carità. È giunto il momento delle lacrime per tutti quei morti che come macigni ci pesano sulla coscienza, ma soprattutto è il momento della restituzione. Si siamo chiamati a restituire tutto ciò che abbiamo predato per i nostri interessi individuali. Dobbiamo restituire dignità e speranza a tutte quelle persone che in maniera inerme e sprovveduta hanno visto la Vecchia Europa entrare e calpestare la loro vita senza chiedere permesso. Non si può costruire una agenda europea sull’immigrazione che ha ancora una volta come obiettivo quello di salvaguardare i privilegi del vecchio continente. Tre sono i verbi fondamentali per imparare a gestire il fenomeno migratorio: chiedere perdono per i danni recati dalle nostre logiche di potere, coinvolgere come protagonisti i poveri, restituire materialmente ciò che si è depredato e restituire spiritualmente fiducia e speranza.
E chi ha gestito in modo vergognoso, a vari livelli, questa situazione senza prendersi cura della vita delle persone, deve ritrovare l’umiltà ed il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, di avviare percorsi di restituzione e di lasciare il proprio posto non solo a chi è più competente, ma a chi ha veramente la coscienza retta. Chi desidera un mondo migliore è chiamato ad adoperarsi per costruire una nuova cittadinanza, mentre tutti gli impresari della paura, del disfattismo e della negatività è bene che lascino ad altri le loro responsabilità e cerchino delle oasi di ristoro e conversione. La vecchia Europa deve aprire le porte, smetterla di essere una fortezza e accompagnare ogni uomo verso la libertà e la verità del suo essere.