La situazione sociale e politica che si è delineata in questo ultimo periodo, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, ha fatto sorgere in me due atteggiamenti. Il primo è quello della lotta, della voglia di spendermi tutto perché possa fiorire un mondo nuovo. Credo che ad ognuno è stato affidato un compito, una missione. Non possiamo mancare il bersaglio, non possiamo accontentarci di una sterile sopravvivenza, siamo fatti per raggiungere le alte vette della libertà e della pace. Quando c’è in gioco la dignità e la libertà dell’uomo, non si molla mai, non esiste la resa, ma si continua a lottare fino alla fine. Il secondo è quello della speranza. È veramente affascinante cogliere la preziosa dimensione dell’amministrare, del vivere politico, del promuovere il bene comune. L’amministratore è chiamato a svolgere un servizio per il bene di tutti, non per il proprio beneficio o tornaconto personale. È chiamato a muoversi costantemente sui sentieri dell’integrità morale, della verità e della giustizia. Non può farsi trarre in inganno dalle lusinghe del potere, della menzogna, della demagogia.
Purtroppo il rischio è che l’amarezza e la rabbia possano prendere il sopravvento sulla riflessione e sulla capacità di voler costruire. Quando un sindaco dichiara che non vuole che i profughi, accolti in un paese limitrofo, passino per il “suo” territorio per prendere il treno che li porta a continuare il loro sogno di vita; quando un amministrazione comunale rifiuta di sedersi a tavolino per studiare via d’uscita per chi è indigente; quando un amministratore ha paura di perdere consensi quando deicide di affrontare i problemi; quando un sindaco seleziona a chi dare gli aiuti in base a regole non scritte, ma incancrenite dietro a logiche di esclusione … è difficile riuscire a mantenere la calma, ma è necessario farlo per ridare dignità e forza anche a quella splendida arte del fare il bene che è la politica. Illuminante in questa direzione e indirizzata a tutti i politici e gli amministratori della nostra realtà trevigiana è la riflessione di don Tonino Bello, riportata di seguito.
“La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (n. 46). Sì, oggi parliamo tanto di servizio, di ministerialità (da “minus stare”), di impegno per gli altri, di volontariato. Una delle forme più esigenti, più crocifisse e più organiche dell’esercizio della carità è l’impegno politico. La parola di speranza la traggo da un passaggio splendido della Gaudium ed Spes che parla della politica come “arte nobile e difficile”. (n. 86)
Anzitutto, arte. Il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre più dall’invenzione creativa che gli viene richiesta dalla irripetibilità della persona. Arte, cioè programma, progetto, apprendimento, tirocinio, studio. E’ un delitto lasciare la politica agli avventurieri. E’ un sacrilegio relegarla nelle mani di incompetenti che non studiano le leggi, che non vanno in fondo ai problemi, che snobbano le fatiche metodologiche della ricerca e magari pensano di salvarsi con il buon cuore senza adoperare il buon cervello. E’ un tradimento pensare che l’istinto possa supplire la tecnica e che il carisma possa soppiantare le regole interne di un mestiere complesso.
In secondo luogo, arte nobile. Nobile, perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile, perché emergente da incoercibili esigenze di progresso, di pace, di giustizia, di libertà. Nobile, perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria.
In terzo luogo, arte nobile e difficile. Difficile, perché le sue regole non sono assolute e imperiture. Sicché, proprio per evitare i pericoli dell’ideologia, vanno rimesse continuamente in discussione. Difficile, perché postula il riconoscimento di tecniche concorrenziali che si ispirano a ideologie diverse da quelle della propria matrice culturale. Difficile, perché esige il saper vivere nella conflittualità dei partiti, contemperando il rispetto e la lotta, l’accoglimento e il rifiuto, la convergenza e la divaricazione. Difficile, perché richiede, nei credenti in modo particolare, la presa di coscienza della autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale, e il riconoscimento della sua laicità e della sua mondanità. Difficile, perché significa sottrarsi alla tentazione, sempre in agguato. dell’integrismo. Difficile, perché significa affermare, pur nell’ambito della comunità cristiana, un pluralismo di opzioni: anche se questo non significa che tutte si equivalgono o che siano tutte efficaci e significative. Arte difficile, per il credente soprattutto, il quale “deve essere consapevole che il Vangelo non è una metodica di emancipazione e che la povertà e la sofferenza non sono soltanto un oggetto da eliminare, bensì una realtà di cui farsi carico come il Servo sofferente. In questo senso la testimonianza politica del cristiano deve diventare vita con i poveri, per un cammino di redenzione radicale”. Arte difficile, per il credente soprattutto, che ha il compito, più che di menar vanto della sua ispirazione cristiana, di trovare quelle mediazioni culturali che rendono credibile il suo impegno politico. Sentite che cosa scriveva Alcide De Gasperi nell’agosto del 1954: “Quello che ci dobbiamo soprattutto trasmettere l’un l’altro è il senso del servizio del prossimo, come ce lo ha indicato il Signore, tradotto e attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar vanto dell’ispirazione profonda che ci muove e in modo che l’eloquenza dei fatti tradisca la sorgente del nostro umanitarismo e della nostra socialità”. E’ proprio vero. La politica è arte difficile e nobile.