In questo tempo, ascoltando molte persone ho potuto constatare come il clima sociale sia profondamente avvelenato. C’è una rabbia repressa che sta montando e che spinge verso direzioni e derive molto pericolose. Ognuno avverte il peso delle proprie fatiche e difficoltà e accusa gli altri, rivendica una giustizia sommaria. La fiducia nell’altro si indebolisce e aumenta la violenza come risposta immediata ed efficace. Qualcuno continua a cavalcare questa onda, senza rendersi conto che una volta fuori controllo (e ci manca poco) rischiamo di rimanerne travolti tutti, senza alcuna distinzione.
Come cristiani non possiamo rimanere in silenzio, ma dobbiamo attingere dal Cristo la forza del cambiamento e del rinnovamento. Molte volte indugiamo su una cultura che cerca di ripetere nella fede quelle che sono le modalità con cui ci si esprime nella società civile. Abbiamo rivestito il crocefisso con corone d’oro sulla testa perché evidentemente noi cristiani soffrivamo nel vedere come era presentato Gesù, nudo sul legno della croce, come un vinto. Volendo rappresentare. La croce dove Gesù fu crocifisso non era d’argento o d’oro, né era tempestata di diamanti. Essa era formata da due rozze travi di legno. Rivelandosi nella storia, il Cristo ha scelto la via della sofferenza e della umiliazione, in una forma di spoliazione totale di se stesso. Cristo non ci ha salvati, restando fuori dalla nostra umanità, come avrebbe potuto fare, ma ha voluto manifestare un atto di amore completo, assumendo la natura umana e divenendo uno di noi, fratello di ciascuno e amico. La carità vera, l’autentica verità è condivisione, farsi carico l’uno dell’altro. Se amiamo solo noi stessi e gli altri in nostra funzione, riterremo che tutti debbono amare “noi”, mentre “io” non debbo disturbarmi per gli altri, non debbo sacrificarmi: “questo è egoismo raffinato, puro e fonte di morte”. La condivisione deve oltrepassare gli orizzonti della famiglia, della propria parentela: esse non possono esaurire il nostro amore, ma dobbiamo amare tutti, a cominciare dai vicini di casa e da quelli che sono accanto a noi. Come possiamo dirci cristiani, rifarci al Cristo che si è fatto carico della nostra umanità e delle nostre miserie, se non siamo capaci di dare neppure un vestito, un lavoro, un sorriso, un’accoglienza agli altri! Se non siamo capaci di rispettare i poveri, di non emarginarli, di non farli esasperare nella loro solitudine?
Le persone che hanno la capacità di gestire la propria vita, godono di buona salute, hanno uno stipendio, una discreta pensione, i figli che li rispettano, hanno bisogno della nostra amicizia. Sono quelli che sono ammalati, per le loro famiglie gravate da situazioni drammatiche, da un figlio handicappato, da uno ammalato di mente, vengono poco a poco isolate dagli altri: proprio con queste persone è necessaria la condivisione. Se ognuno di noi facesse, non quello che deve fare, ma quantomeno una parte di quello che può fare, per tutti le cose andrebbero meglio. Se prendessimo alla lettera il Vangelo, in particolare il mistero della incarnazione del Cristo, certo non rimarremmo indifferenti, ma tradurremmo nella vita il messaggio d’amore di cui Cristo ha dato l’esempio. Se non tutti possiamo risolvere i problemi di ciascuno, è anche vero che ognuno di noi, nessuno escluso, può aiutare gli altri, perché sia più leggero il peso della croce. Tutti possiamo farlo in modo diverso: con la preghiera, un sorriso, un momento di amicizia. Ma, sono soprattutto le comunità parrocchiali che devono sentirsi impegnate con una testimonianza di amore. Tutti dobbiamo amare, renderci prossimi e farci carico degli altri.