Abbiamo bisogno di fare silenzio e di ritornare alla sorgente. È necessario che con molta umiltà ritorniamo a Dio e riscopriamo la fraternità che ci rende un’unica famiglia umana. Le tragedie che ogni giorno imbevono di sangue la madre terra e lacerano in profondità il cuore di molte persone, purtroppo da sempre seno presenti nella storia dell’umanità. Questo ci deve far riflettere molto. Non dobbiamo cadere in una rassegnazione fatalista, né girarci dall’altra parte dietro il muro di una gelida indifferenza per preservare il nostro bene individuale. La storia dell’uomo è segnata da pagine bellissime, ma anche da situazioni dolorose, dinanzi alle quali più volte ci siamo espressi dicendo “mai più !”. Invece continua a succedere. Perché ? Perché siamo deboli e lo spirito del male ci lusinga facendoci vedere come promettente ciò che in realtà non lo è. Ci fa credere che arroccandoci nelle nostre certezze, chiudendoci agli altri, al diverso saremo più forti, più ricchi, capaci di goderci la vita in santa pace. La realtà, o meglio la storia umana, ci dice che non è così. Ogni volta che l’uomo ha intrapreso questa strada è andato incontro al fallimento, alla sofferenza, alla morte. Finché non sarà garantito il rispetto della dignità di ciascun uomo e nessuno verrà più considerato scarto, non ci potrà essere vera pace sulla terra. È necessario allora che ci fermiamo, che ci guardiamo negli occhi e con grande limpidezza e trasparenza di cuore ci chiediamo “Umanità dove stai andando ? Uomo dove vai ? Dove sei ?” Non possiamo continuare a far finta di nulla. Abbiamo bisogno di parole credibili, di testimonianze vive che riaccendono la speranza nel cuore degli uomini.
Ultimamente parole e gesti che riempiono la cronaca quotidiana ci fanno comprendere come stia avvenendo un salto di qualità in negativo. Ci stiamo avvelenando tutti e vediamo nemici da ogni parte. Nel nostro cuore l’indifferenza sta lasciando spazio al risentimento, al rancore all’odio. È veramente pericoloso, perché stiamo perdendo il controllo e ci lasciamo guidare da tutto quello che percepiamo con la pancia. La vita però prima che di pancia va vissuta con il cuore e con la mente. E soprattutto chi è chiamato a vivere delle responsabilità, a livello civile o religioso, non può continuare a cavalcare e plagiare il vissuto emotivo in virtù di un tornaconto personale. Ci vuole onestà intellettuale e di cuore. Dobbiamo ritrovare l’uomo e per fare questo nelle parole, nei pensieri e nelle azioni dobbiamo disintossicarci tutti quanti dal tanto veleno che è entrato in circolo e ha lacerato le relazioni umane, facendoci dimenticare che siamo figli di unico Padre e fratelli tra di noi. Siamo chiamati ad un discernimento serio per cogliere come oggi ci sia un uso strumentale di due emozioni, la paura e la vergogna. L’antitesi noi/loro è un surrogato del pensiero che non vuole affrontare i problemi e le difficoltà che la complessa realtà di oggi presenta, chiudendosi in un modo di sentire per blocchi contrapposti. Ciò è dovuto all’enfatizzazione della paura che gli altri attentino alla nostra sicurezza rendendoci stranieri e insicuri in patria, e sul carattere vergognoso della loro presenza che li rende passibili di punizione o di espulsione o di rigetto o di “pulizia”. Un conto è la giusta sanzione nei casi in cui una persona delinque, ma ciò a cui stiamo assistendo è la creazione di un clima in cui il semplice essere “diverso” rendo l’immigrato ripugnante e pericoloso nell’immaginario dei locali, agli occhi, nella mente, e infine anche nei gesti e nella prassi dei “noi”. Inoltre capita che chi dovrebbe vergognarsi davanti ai poveri per l’umanità offesa, per la sproporzione tra il proprio benessere e la miseria degli altri, si sottrae alla vergogna trasferendola sulle vittime e appiccicandola a loro. Per non vergognarmi io ricco dinanzi alle condizioni miserevoli del povero, lo colpevolizzo, lo rendo ignobile, faccio in modo che lui stesso debba vergognarsi di quel che è. Da qui nascono i discorsi sulla purezza dell’identità nazionale e culturale da difendere. Si suscita la paura dell’altro e la si diffonde. In questo clima il povero (che spesso è immigrato) da un lato è sempre più temuto, dall’altro lui è sempre più preda di paura per l’ostilità in mezzo a cui vive e lui stesso arriva a vergognarsi di quello che è. In questo modo il povero viene ridotto a una cosa, ad un nulla, a spazzatura. “Lo scopo di questa aggressività è disumanizzare la persona, trasformandola in un escremento” (M.C. Nussbaum).
Vergognosa non è la povertà, ma l’ingiustizia che crea la povertà. Vera azione di carità è dunque liberare il povero dalla vergogna di essere povero. Per questo c’è bisogno di una chiesa povera, che si presenti con i connotati della povertà, non semplicemente con colei che agisce a favore dei poveri, li assiste e li soccorre. Occorre lavorare per rendere inefficace la distinzione noi/loro, che da un lato esprime disprezzo e dall’altro suscita vergogna seminando inimicizia e odio. È necessario che insieme ci adoperiamo per custodire e far fiorire la bellezza che è dentro il cuore dell’umanità.