Celebrare la festa dei Santi significa attingere da Dio tutta la pienezza e la forza dell’amore di Dio. Essere santi significa vivere secondo il cuore di Gesù, significa entrare nelle periferie esistenziali dell’uomo d’oggi con la forza di chi crede fermamente che un mondo migliore non solo è possibile, ma è già iniziato.
La Carità è l’incontro fondamentale con l’Amore che rinnova e rilancia tutta la vita. Tutto quello che riguarda il mondo della carità ha a che fare con le relazioni, anzi è importante far comprendere che in questo servizio alla verità dell’uomo la Chiesa non è chiamata a moltiplicare i servizi, ma a percorrere una strada di rinnovamento delle relazioni. L’Amore di Dio quando tocca il cuore lo rinnova profondamente, lo riporta alla sua verità. Ed oggi avvertiamo forte questo bisogno di cuori rinnovati, capaci di amare profondamente, liberati dalle briglie della funzionalità e del formalismo.
La carità è un cambiamento della relazione. Da indifferente a interessata, da superficiale a profonda, da burocratica ad amichevole, da affrettata a paziente. La carità “partecipa” dell’altro, della sua fragilità, dei suoi problemi. La carità cambia il nemico in amico, lo straniero in concittadino, il diverso in uguale. La carità è un modo di relazionarsi, di instaurare relazioni, di porsi di fronte all’altro uomo, che, alla fine, è come porsi di fronte a Dio. Non dobbiamo aumentare i servizi di carità, o incrementare la generosità, bisogna cambiare le relazioni. Non si tratta di garantire degli interventi sociali, ma riconoscere la condizione del povero come qualcosa che ci riguarda, qualcosa che ha un significato. Le persone sono accostate a partire anche dai loro bisogni, ma in quanto fratelli, figli di Dio. Cercare una comunione di vita tra “emarginati e non”, tra sani e malati, tra giovani e vecchi, tra uomini e donne, permette di anticipare la “terra nuova” dove sarà asciugata ogni lacrima. E’ proprio questo riconoscimento dell’altro come fratello che fonda l’esigenza della prossimità. Nel regno di Dio e quindi anche nella comunità i poveri, prima di essere degli indigenti, sono dei soggetti e non tanto oggetti della nostra compassione. Prima di ogni aiuto viene la solidarietà ed è proprio il riconoscimento della fraternità che è in grado di prefigurare la “vita nuova” di cui la comunità cristiana dev’essere come un anticipo. Il riconoscerli come fratelli è la condizione perché essi a loro volta ci riconoscano come fratelli e non solo come dei benefattori. La carità ha, per natura sua, una struttura di reciprocità. Se la comunità cristiana, e in essa i cristiani, si limitano semplicemente ad alleviare le sofferenze, a curare le ferite, a favorire compensazioni sociali, la loro carità perde la connotazione cristiana e diventa parte dei servizi dello Stato sociale.
L’incontro con Cristo, che è la Carità di Dio, non solo ci spinge a rinnovare le nostre relazioni, ma ci sostiene nella ricerca della nostra verità, del nostro vero “nome” davanti a Dio e alla storia della salvezza. È importante che, illuminati dalla grazia di Dio, ci chiediamo qual è il nome che il Signore ci ha dato e che non perirà in eterno. Concretamente significa scoprire alla luce dell’Amore qual è la nostra missione nel progetto di salvezza di Dio. Significa scoprire il senso vero della nostra vita, percependo fino in fondo che noi veniamo dall’Amore e verso di Esso torniamo. Veramente non c’è gioia più grande di quella di sperimentare che tutto è grazia nella nostra vita, tutto è dono di Dio e che ogni istante della nostra vita è prezioso e non andrà mai perduto. Scoprire il proprio nome davanti a Dio significa trovare il senso autentico del proprio esserci e questo dona gioia e serenità anche dentro le prove e le fatiche della vita. Questo cammino verso la propria verità è in sintesi la vera promozione umana, è la capacità di dare senso a tutti i frammenti della propria storia, è la vera santità. È un cammino di lotta, di riconciliazione, di pace, di dono. È vivere i nostri giorni secondo la cifra del mistero pasquale imparando a stare dentro il venerdì santo di passione e sofferenza, ad ascoltare il silenzio del sabato santo, ad accogliere l’amore luminoso del mattino di Pasqua. Questo è il frutto maturo e più bello della carità: accompagnare ogni uomo a scoprire il senso della propria vita, a percepire che non esiste per caso, ma che ognuno, anche nella sua debolezza e fragilità, è una parola preziosa pronunciata da Dio per il bene e la salvezza dell’umanità.
Madre Teresa di Calcutta ha scoperto che il nome che dall’eternità Dio aveva pensato per lei era matita di Dio, San Francesco il giullare di Dio, Santa Teresina di Lisieux l’amore di Dio, un amico missionario comboniano (padre Gianni) pane spezzato …. e così ognuno di noi. Scoprire il nostro nome significa vivere in pienezza la propria storia.
Il cammino di accompagnamento e di prossimità che il Vangelo propone ad ogni uomo ha come obiettivo quello di scoprire il proprio nome agli occhi di Dio e della storia della salvezza. Questo riguarda tutti perché ognuno ha il diritto sacrosanto di gustare e contemplare la bellezza del suo esserci e del suo esserci per qualcuno. Questa è la santità della carità, la santità che illumina anche le più oscure periferie dell’esistenza dell’uomo.