Totila d’oro, ma soprattutto cuore di carne - CARITAS TARVISINA

Totila d’oro, ma soprattutto cuore di carne

Venerdì 31 ottobre, a mons. Fernando Pavanello è stato conferito il Totila d’oro, massimo riconoscimento della città ad un uomo, ad un uomo di Dio, ad un prete che ha speso tutta la sua vita nel percorrere la strada della giustizia e dell’attenzione vera verso i più deboli. È stato un riconoscimento significativo, ma credo che testimonianze di vita, come quella di don Fernando, vanno custodite come stimolo ad un impegno continuo per contribuire, con umiltà e nella semplicità, alla costruzione di un mondo e di una chiesa secondo il cuore di Dio e non secondo gli interessi degli uomini. Nello scegliere la strada della CARITA’, della GIUSTIZIA, della PACE, vi sono alcune persone che rappresentano per il vissuto di ogni uomo, cristiano e non cristiano, delle figure esemplari, dei punti di riferimento. Questi grandi uomini e donne hanno già percorso il sentiero che li ha portati verso l’altro, verso il povero, verso (per quelli di loro che erano cristiani) CRISTO.

Personalmente custodisco nel cuore la testimonianza e la vita di questo sacerdote che ancor oggi, a 95 anni, continua a vivere ancorato alla sua luminosa passione per l’uomo e per Dio. La preghiera dei due amori, da lui composta, resta certamente una linea guida per tradurre concretamente nella vita il Vangelo. Indica la strada per entrare ancor oggi nelle periferie esistenziali dell’uomo contemporaneo. Come Caritas diocesana ci sentiamo profondamente legati a don Fernando, perché la linea da lui tracciata continua ad essere sempre uno stimolo per essere chiesa viva che cammina con i poveri.

Don Fernando ha ricevuto il Totila d’oro, ma questo perché fondamentalmente ci ha testimoniato di avere un cuore di carne, un cuore appassionato per la vicenda di ogni uomo, appassionato del Vangelo e di Cristo, innamorato della vita con tutti i suoi risvolti, con tutte le sue gioie e dolori, instancabile cercatore della verità e della giustizia. Ancor oggi le sue parole calde e vibranti ci insegnano che siamo troppo attaccati allo scoglio, alle certezze. Ci piace la tana, ci attira l’intimità del nido. Ci terrorizza l’idea di rompere gli ormeggi, di avventurarci sul mare aperto… di qui la ripetitività, l’atrofia per l’avventura, il calo della fantasia. Il vento “gagliardo” scuote, butta all’aria le cose: il vento è movimento. Lo Spirito Santo è il vento gagliardo. Chi spera cammina, non fugge! Si incarna nella storia! Costruisce il futuro, non lo attende soltanto! Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma! Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare. Il volto spaurito degli oppressi, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli uomini della Terra, sono il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. Mettiamoci in cammino senza paura.

Il cuore di carne di don Fernando continua ad esserci di stimolo e ci invita a stare anche dentro al nostro limite. Credo che più volte nel cuore di don Fernando si siano agitati i sentimenti che hanno attraversato il cuore di un grande testimone della Carità come don Tonino Bello che scriveva: “Mi fa soffrire molto l’impossibilità di giungere a dare una mano a tutti. Ho un’agenda sovraccarica di persone che chiedono una visita, un sostegno, un appuntamento, del denaro, una soluzione ai loro problemi… Si vorrebbe avere occhi e mani per ognuno, ma non si riesce, e questo è il rammarico più grande”.

Don Fernando ci ha insegnato che esiste un antidoto contro le paure e questo è il Vangelo. È quella Buona Notizia che ci fa sperimentare che anche quando ciascuno matura la consapevolezza di essere “un buono a nulla, in realtà siamo capaci di tutto perché sperimentiamo che quanto più ci si abbandona a Dio, più si riesce a migliorare la gente che ci sta attorno”. Anche riguardo al tema della sofferenza, don Fernando è sempre rimasto aderente allo spirito evangelico che ne sottende il senso. Ha avuto ed ha  a che fare con i malati, i disabili, con coloro che nessuno considera e che rimangono silenziosi nel loro dolore; dolori diversi ma pur sempre urgenti, che lacerano l’anima, che hanno la voce soffocata dall’indifferenza collettiva, che creano cicatrici evidenti nel cuore di chi li deve subire. Ma per lui e anche per noi, la sofferenza trova un senso vero solo se condivisa amorevolmente con Dio. “C’è anche il caso, comunque, ed è molto frequente, che il dolore rafforzi l’intimità col Signore: il quale viene riscoperto non tanto come estremo rifugio di consolazione, ma come colui che “ben conosce il patire” e che sa solidarizzare fino in fondo con tutta la nostra esperienza”.

Grazie don Fernando perché il tuo cuore di carne è e resterà sempre più prezioso dell’oro e di tutte le ricchezze del mondo.
 


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