Quando papa Francesco ha annunciato il Giubileo straordinario della Misericordia ho percepito in me e attorno a me il ravvivarsi di una fiducia e speranza da tanto tempo arenata nei bassifondi di una sterile sopravvivenza. Quest’anno santo è una occasione di grazia per lasciare che lo Spirito Santo riaccenda nei nostri cuori il desiderio della santità che poi nella storia concreta di ogni giorno si traduce nel vivere con responsabilità il proprio tempo al fine di contribuire, con semplicità ed umiltà, alla costruzione di un mondo migliore. La misericordia di Dio è quel balsamo di vita di cui tutti abbiamo bisogno per recuperare il senso del bello, del buono, del vero che è celato in ogni cuore. Abbiamo una profonda necessità di essere rinfrancati nel nostro cammino, di alleggerire il carico delle nostre fatiche e preoccupazioni, di ritrovare il volto dell’altro come fratello e non come rivale da contrastare e combattere. In una parola abbiamo bisogno di pace interiore. È una sete che da sempre accompagna l’uomo e non a caso il saluto di Gesù Risorto che appare ai suoi apostoli è espresso con quel “pace a voi” che dice l’orizzonte di una speranza senza confini che non conosce tramonto. In questa prospettiva la misericordia di Dio la possiamo immaginare come una mano che incoraggia, sostiene, corregge, dona forza al fine di promuovere il cammino di ogni uomo verso la verità e la libertà che si fa dono gratuito, comunione condivisa, speranza viva.
Personalmente gli inviti di papa Francesco a ripensare alla nostra esistenza dentro lo sguardo di misericordia non solo mi hanno provocato ad una profonda conversione, ma mi hanno dato coraggio e speranza per continuare ad abitare questa umanità con l’incrollabile certezza che l’Amore vincerà sempre, che ogni deserto fiorirà, che dopo ogni venerdì santo si dischiude sempre l’orizzonte luminoso del mattino di Pasqua. Tutto questo mi ha dato e continua a donarmi tanta gioia. La constatazione, però, che più mi ha colpito in questo tempo è stato notare che questo anelito profondo abita il cuore di moltissime persone. È veramente bello cogliere, sui volti di tante persone, i segni della pacificazione, della riconciliazione che la misericordia infinita di Dio sta disegnando con grande delicatezza. È un tempo di grande speranza che ci invita ad abbattere i muri dell’indifferenza e dell’egoismo, per costruire ponti di comunione e riconciliazione. È il tempo santo in cui a ciascuno è accordata la possibilità della recuperabilità, la possibilità di un nuovo inizio. Ed è proprio qui che siamo chiamati ad una profonda conversione, a squarciare il velo delle nostre ipocrisie che ci porta a considerare la misericordia di Dio un anestetico spirituale e non l’Amore che dona resurrezione e vita nuova. Qui si gioca la questione fondamentale della nostra fede nel Risorto. Se crediamo alla Pasqua di Cristo Signore, siamo chiamati a prendere sempre più consapevolezza che la resurrezione ha a che fare con la storia e la vita concreta dell’uomo. È credere che una vita nuova è possibile, che un nuovo inizio è possibile per tutti e non solo per quelli che ci sono vicini o che hanno credenziali che rispondono ai nostri miseri e sovente “iniqui” criteri di giudizio. Credere al Risorto significa vivere un cammino di autentica liberazione, dove gioire della “resurrezione” del fratello, anche di chi ha indossato i panni di Caino. Questo non significa annullare la responsabilità del male compiuto, ma significa credere che la redenzione è la via che è offerta ad ogni persona. Non si può gioire del dramma dell’altro, non si può godere delle pene e delle sofferenze dell’altro, neppure nei confronti dei nemici.
In questo anno della misericordia abbiamo bisogno di ritrovare fiducia nell’uomo, di riscoprire la speranza come cifra essenziale dell’umano. È una grande conversione. Spesso, in questo periodo, si levano voci aggressive che gridano al respingimento e alla chiusura verso l’altro che è diverso da me; vengono proferite sentenze di condanna, senza alcuna possibilità di ritorno, verso chi ha sbagliato; si augura la morte e non si auspica la conversione e la redenzione di chi ha commesso gravi colpe. Viviamo i nostri drammi esistenziali in maniera privatistica e abbiamo perso l’orizzonte della comunità umana. Dinanzi ai drammi della storia, continuiamo ad usare anestetici per non sentire e non vedere, ma, prima o poi, la vita ci chiederà di fare i conti con la realtà della sofferenza e della morte. La vicenda di ogni uomo ci riguarda. Il suo bene ha a che fare anche con me, così come la sua sofferenza ed il suo dolore mi riguardano in prima persona. Siamo chiamati a riscoprire che siamo un’unica famiglia umana.
L’Amore misericordioso di Dio ci doni di desiderare il bene di ogni uomo, di gioire per tutti i cammini di riconciliazione e pacificazione che permettono a molte persone di riprendere in mano la loro vita. La misericordia di Dio ci renda capaci di tessere sentieri di vita nuova e di desiderare profondamente che “il peccatore si converta e viva”. Oggi è un nuovo inizio per tutti: crediamoci insieme ed accordiamo con fiducia questa speranza a chi è più deboli o ha smarrito la via.