Sono sempre rimasto colpito nella meditazione del brano evangelico che ci presenta le opere di misericordia dove l’ultima di esse riguarda la visita a chi è carcerato. Mi sono chiesto più volte perché Gesù l’abbia messa per ultima. Ripensando alle condizioni dei detenuti che ho visitato in alcune carceri in Italia e in altri Paesi, mi sono convinto che il carcerato condensi in sé tutte le povertà: è malato, affamato, assetato, nudo, forestiero …. è soprattutto solo e senza speranza.
Le carceri che ho visitato sono sovraffollate, hanno spazi ristretti e sono prive di colori, di aria, di libertà. Tutte uguali, immerse in un grigiore carico di tristezza e sfiducia. Le scorse settimane, insieme a Davide e Giovanni, due operatori della Caritas Diocesana di Treviso, mi sono recato in Perù nella regione del Purus, in piena foresta amazzonica, per fare visita a padre Miguel Piovesan e alla sua comunità di Porto Esperanza. Il viaggio è stato impegnativo perché data la mancanza di voli di raccordo, abbiamo dovuto raggiungere la nostra meta attraversando il Brasile, utilizzando l’auto, l’areo e la piroga (ben 16 ore). Ed è proprio a partire da questo dato che mi sembra importante sottolineare la gravità di quanto stia capitando nella regione del Purus. Mai avrei immaginato che nel mondo esistesse un carcere che si estende per oltre due milioni e settecento ventiquattromila ettari, carico di colori, di piante, di vita. È il parco naturale del Purus che è diventato dal 2004 una trappola mortale per gli indios che lo abitano. Da quanto ascoltato sono riuscito a comprendere come dietro alle scelte ecologiste purtroppo ci siano ancora una volta molti interessi individuali che vanno contro il bene comune, soprattutto il bene delle persone che da sempre abitano quella terra.
L’isolamento del Purus non è indolore. La vita ha un costo troppo elevato, la mortalità infantile è pari al 50% per i bambini al di sotto dei due anni. I giovani non vedono prospettive e sempre più c’è una emigrazione verso il Brasile che sta letteralmente facendo sparire gli indigeni, in 10 anni si è passati da 8.000 a 3.000 indios. Dietro agli slogan di salvaguardia della foresta e delle popolazioni indigene, purtroppo si nasconde l’amara verità che la protezione di un albero o di una specie animale valga di più della vita umana.
È necessario aver chiaro che quando si parla di salvaguardia e custodia del creato, va inclusa anche la vita dell’uomo, che necessita in ogni angolo del mondo di essere rispettata nei suoi diritti fondamentali. Non si può ingabbiare la libertà di nessun uomo dietro a qualsiasi ideale. La libertà degli indios è sacra quanto la nostra. L’area protetta del Purus viene considerata parte importante del polmone del mondo, ma quel polmone gronda sangue innocente, lancia grida di sofferenza e di dolore dinanzi alle quali non si può rimanere in un silenzio inerme ed indifferente. Non si tratta di disboscare la foresta, ma di sedersi attorno ad un tavolo per trovare quella soluzione che permetta agli abitanti del Purus di vivere una vita dignitosa e di uscire dall’isolamento che stanno pagando a caro prezzo. Si tratta di permettere ad animali, alberi e uomini di vivere in armonia.
La visita a questa prigione mi ha lasciato dentro il cuore alcuni interrogativi molto forti che riguardano la realtà del Purus, ma più in generale il mondo intero. Prima di tutto credo sia importante che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e ci sia veramente un cambio di rotta per un cambio radicale degli stili di vita, orientato alla giustizia e all’equità. Non possiamo, in base agli interessi economici, continuare a violentare madre terra, lasciando ad altri il compito, oneroso oltre il possibile, di mettere la toppa che ci salva. Non si può pensare di fare quello che si vuole, quando questo comporta la schiavitù, la sofferenza e persino la morte di altri. Non si può continuare a scalare il potere, usando come appoggio la schiena dei più poveri. In secondo luogo è necessario che tutti aspiriamo alla libertà e alla giustizia. Chi ha le redini del comando deve fuggire con tutte le forze il pericolo della corruzione, del cuore corrotto, per cercare al di sopra di tutto il bene comune, il bene di tutti. Chi vive nelle difficoltà e nell’isolamento, come gli abitanti del Purus, non può abdicare alla lotta per i propri diritti, non può vivere da adattato ad un sistema di corruzione e di iniquità. I giovani non possono lasciare che con estrema facilità vengano strappate dal loro cuore le loro speranze e i loro sogni profondi. Infine è necessario che tutti cerchiamo la via del dialogo per aprire insieme quella strada dove è salvaguardata la vita di tutti, dei forti e dei deboli, degli alberi e degli animali e soprattutto quella dell’uomo che è e sarà sempre una terra sacra.
Mai avrei pensato di toccare con mano il dolore che si nasconde dietro a certe logiche ecologiste fondate su cuori corrotti ed iniqui. Però sono tornato a casa con una certezza che è alimentata anche dalle parole di Papa Francesco: la globalizzazione dell’indifferenza e dell’iniquità, si combatte con la globalizzazione dell’amore e della solidarietà. La situazione dei nostri fratelli del Purus ci sta a cuore e noi lotteremo con loro al fine che sia salvaguardata, insieme alla nostra, la loro dignità e la loro libertà.