E’ da più di un anno che svolgo volontariato presso il servizio docce della Caritas in via Venier. Il mercoledì arrivo verso le 4 del pomeriggio e subito mi dirigo in un piccolo ufficio proprio all’entrata del Centro d’Ascolto dove trovo il quadernone ad anelli gialli con il foglio excel per segnare gli “ingressi” degli “utenti”.
C’è già chi aspetta, magari con un ricambio appena ritirato dal servizio della lavanderia che si trova proprio lì accanto; nel frattempo giunge Mauro, un volontario di lungo corso che ogni mercoledì si fa i suoi bei chilometri pur di dare il suo contributo.
Le persone arrivano, chi da solo, chi in compagnia, chi per la prima volta, chi salutandoti per nome o esibendo semplicemente la tessera assorto nei suoi pensieri; tutti ringraziano uscendo e tu non sai nemmeno precisamente cosa rispondere, se arrivederci o meno; con Mauro parli un po’ di tutto, di piccole seccature sul lavoro, di cinema, di cosa voglia dire avere la possibilità di farsi una doccia, a volte non importa dove.
Un giorno Mauro mi dice che a suo parere il “nostro” servizio permette una relazione più orizzontale con chi si presenta per usufruirne; concordo: c’è chi scambia due parole, chi qualcosa di più, c’è chi si lamenta perché c’è chi ne approfitta o perché magari proprio lui è stato richiamato per non aver rispettato alcune regole, necessarie quando – pur con tutto l’impegno – le risorse sono limitate rispetto alle richieste. Due connazionali parlano tra loro e sono diverse le lingue che rimbalzano tra una doccia e l’altra o appena fuori in attesa dopo barba e, perché no!, capelli. Chi chiede informazioni sui diversi servizi viene indirizzato al Centro d’Ascolto; altri aspettano l’amico e nel frattempo danno un occhio al cellulare messo in carica. Noi un po’ ci limitiamo a “dirigere il traffico”, un po’ ad osservare, ad ascoltare, pure a rispondere con un sorriso se si presenta l’occasione.
Si fanno le sette e aspettiamo che gli ultimi arrivati finiscano di prepararsi; controlliamo che tutto sia in ordine, le finestre chiuse, le luci e i ventilatori spenti. Fuori c’è la fila per la mensa e riconosciamo alcuni volti che magari abbiamo giusto guardato al momento di chiedere la tessera.
Arrivi a casa appena più stanco e leggero; torni al tuo tram tram, ma sai e speri che almeno un po’ sei cambiato e questa incerta sensazione ti dà sollievo.