Ci invita ad abitare la storia con la consapevolezza che il suo amore è più forte di tutto. Ci chiede di avere cuori aperti e liberi, capaci di dialogare e di non stancarsi mai di lavorare per costruire sentieri di comunione dove è onorata la dignità di ogni persona
Sono rimasto molto colpito dalla frase pronunciata questa settimana dal presidente del Consiglio italiano: Noi combattiamo per difendere la famiglia, le nazioni, l’identità, Dio e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà. Certamente non ha destato alcuna sorpresa il riferimento a questi valori che ritengo siano patrimonio universale di ogni persona e che ognuno sia chiamato a custodirli e promuoverli come fonte generativa di bene. La questione di fondo sta nell’utilizzo dei verbi combattere e custodire, che tradiscono in maniera inequivocabile un approccio di potere, a discapito di un processo comunitario. Quei verbi sono espressione di una impostazione antropologica e divisiva che tende ad identificare per separare e non per unire, ad escludere e non ad includere.
Combattere significa che c’è un nemico da affrontare, una minaccia da sventare. È un invito a profondere tutte le energie per difendere il proprio feudo, per costruire un’isola felice dove poter godere dell’adulazione dei propri sudditi. Il verbo combattere fa emergere lo schema bellico che ci abita e che ci fa vedere l’altro come un nemico da respingere e non come un fratello da scoprire ed amare. Il primato è del bene individuale su quello comune. Le persone più fragili e vulnerabili, tutti coloro che non ce la fanno a stare al passo, si lasciano indietro. È meglio non vederli. Se il frutto di questa battaglia è l’indifferenza e la divisione, siamo lontani dal garantire i diritti dell’umanità e lontani dal Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato. Difendere significa che viviamo continuamente con la paura di essere minacciati nelle nostre sicurezze, con l’angoscia che la storia ci possa portare ad esplorare orizzonti sconosciuti e strade diverse da quelle che finora abbiamo sempre percorso. È necessario se questa azione di difesa è orientata a proteggere e promuovere la vita o se è solo una difesa dei propri privilegi e delle proprie conquiste. Combattere per difendere significa che si ha paura del cambiamento, che non si è disponibili a mettersi in gioco, contemplando anche la normale conseguenza che qualcosa va lasciato e perso. Non si può vincere sempre, ma in ogni momento si è chiamati a non arretrare di un millimetro nella ricerca del bene comune.
La situazione che stiamo vivendo è molto complessa e certamente non è semplice abitarla, anche per chi riveste ruoli di responsabilità. La complessità non va affrontata in modo superficiale, né si può ridurre a qualche slogan. Ogni semplificazione rischia di produrre danni e ferite molto gravi. Credo però che sia giunto il tempo di smarcarci dalla logica delle recriminazioni, del partire sempre da quello che non va negli altri. Più che combattere per difendere dovremmo seguire la strada di costruire insieme per dialogare. La diversità è fonte di ricchezza e l’apporto di ciascuno è indispensabile, non semplicemente utile. Non ci sono civiltà, persone, storie di serie A e di serie B. I valori dell’identità, della patria, della famiglia, della religione si rafforzano quando sappiamo stare nella verità di un dialogo rispettoso. Potremmo affrontare le sfide della pace, della salvaguardia di madre terra, delle migrazioni, del superamento delle ingiustizie solo nella misura in cui passeremo dalla logica dei feudi da difendere a quella di terra da condividere.
Mi permetto, in punta di piedi e senza giudizio, di far memoria di chi è il Dio di Gesù Cristo. Quel Dio che accetta di morire in croce, di addossarsi tutte le nostre iniquità, non ha chiamato in sua difesa la schiera degli angeli celesti. È entrato nell’oscurità più profonda per portare la sua luce infinita. Dio non chiede la nostra difesa, non dice di metterci gli uni contro gli altri in nome suo (purtroppo quante volte è accaduto e continua a succedere). Ci invita ad abitare la storia con la consapevolezza che il suo amore è più forte di tutto. Ci chiede di avere cuori aperti e liberi, capaci di dialogare e di non stancarsi mai di lavorare per costruire sentieri di comunione dove è onorata la dignità di ogni persona.
I valori ricordati dal nostro presidenti sono preziosi, ma è necessario che tutti quanti cambiamo i verbi con cui declinarli nella nostra vita, attingendo al Verbo che non conosce tramonto: l’Amore misericordioso di Dio.
Don Davide Schiavon
19 settembre 2023