Giornata mondiale dei poveri - CARITAS TARVISINA

Giornata mondiale dei poveri

Domenica 19 novembre 2017 si celebrerà in tutto il mondo la prima Giornata mondiale dei poveri. Prima di tutto vorrei dire grazie a Papa Francesco che l’ha voluta fortemente. Una gratitudine perché questa giornata ci invita a riandare al centro, a riscoprire quella cifra dell’umano che ci racconta l’infinita tenerezza e delicatezza della misericordia di Dio.

La scelta preferenziale dei poveri è fatta di atteggiamenti interiori che siamo chiamati a tradurre in scelte concrete. Il prendersi cura di una persona in difficoltà chiede di realizzare delle azioni che sono a suo favore. È necessario sporcarsi le mani, giocarsi fino in fondo senza paura. Il prendersi cura implica una serie di scelte che modificano quella sterile quiete nella quale sovente ci rifugiamo, per non essere disturbati. È bene tenere presente che il povero prima di tutto rompe, rompe i nostri schemi e le nostre zone di protezione. Il povero entra nel profondo del nostro cuore, ci ferisce e ci provoca. Fa sorgere nel nostro cuore una sana inquietudine che ci smuove dalle nostre pigrizie ed esitazioni. Siamo invitati ad aprire gli occhi e a metterci in ascolto delle sofferenze dei fratelli. Ciò significa avere la forza ed il coraggio di entrare in contatto con le loro ferite, con quel groviglio di dolore che continuamente fa sanguinare il cuore. Nella vita non è facile scendere e stare nel proprio inferno, figurarsi in quello degli altri. Eppure l’Amore Crocifisso e Risorto di Cristo ci invita ad avere consapevolezza che nulla è impossibile al suo amore, che ogni ferita verrà guarita dal suo amore. Molte volte dinanzi al cuore ferito dei fratelli non sappiamo cosa dire, cosa fare. Ci ritroviamo impotenti e spaventati, ma quella richiesta di aiuto, di intervento è rivolta a noi e noi non possiamo tirarci indietro. Dio si fida di noi, anche se strumenti deboli e fragili, e desidera realizzare la sua opera di guarigione e salvezza attraverso di noi.

Fasciare le ferite è una prima modalità attraverso la quale prendere contatto con la difficile situazione dell’altro. È guardare alla debolezza dell’altro non con una sorta di giudizio, ma con il desiderio che abbia salva la vita, che riprenda il suo cammino esistenziale. Fasciare le ferite significa porre fine a quell’emorragia di fede, speranza e carità che sovente fa precipitare nel più pieno isolamento. È necessario usare delle bende che nella nostra progettazione erano state destinate ad altro uso. Si tratta di lasciare che l’amore e la custodia per la vita dell’uomo abbiano il primato rispetto a quelle rigide progettazioni che non ammettono né imprevisti, né ritardi. Fasciare le ferite tirando fuori del proprio, giocandosi in prima persona, significa passare dall’efficienza dei risultati all’efficacia dei segni e delle parole. Solo così la vita non viene più vissuta come una serie di risultati di ottenere, di conquiste da realizzare in base a progetti esemplari, ma è obbedienza al quotidiano, consegna fiduciosa all’imprevedibile ed imperscrutabile soffio dello Spirito Santo che fa fiorire i deserti e riesce a scrivere diritto anche sulle righe storte della nostra vita. Fasciare le ferite è un atto di carità e di compassione, ma è anche un atto di speranza. Infatti racchiude in sé la profonda speranza della guarigione, della salvezza. È un atto molto concreto, dove la compassione si apre sena tante remore all’azione sanificatrice della Carità. Le bende sono una soluzione temporanea, la vita ritrovata invece è l’orizzonte nuovo e definitivo.

La Carità di Cristo ci rende allora non solo capaci di stare nelle sofferenze del fratello, di condividere la sua storia, ma ci dona anche di contribuire alla sua guarigione. E questo lo possiamo vivere solo per grazia di Dio, è un dono suo: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. E vi costituiti perché andiate e portiate frutto ed il vostro frutto sia duraturo”. La misericordia, l’amore caritatevole hanno una dimensione eterna perché scaturiscono direttamente dal cuore di Dio che è buono e grande nell’amore. Le ferite fasciate sono il segno che lo stile di Dio è quello della recuperabilità, che una via di rinascita è possibile per ogni uomo, che a ciascuno viene offerta la possibilità di un nuovo inizio. Quelle bende dicono che la vita è più forte della morte, che la vita vincerà. E dentro questo orizzonte di resurrezione, è particolarmente significativa la missione che ci è affidata. Siamo noi, nel concreto della nostra storia, che dobbiamo fasciare quelle ferite. Siamo noi che dobbiamo sporcarci le mani e metterci in gioco, pur con le nostre fragilità e le nostre debolezze. Non dobbiamo scoraggiarci dinanzi alle nostre debolezze, ma confidare nella fiducia che il Signore continuamente ci accorda. Per collaborare alla guarigione dei fratelli è fondamentale che facciamo memoria di quelle guarigioni del cuore che Dio ha operato e continua ad operare in noi. Ciascuno di noi ha le sue ferite e le sue cicatrici. Queste ci portano ad entrare in empatia con chi è nella sofferenza e nel dolore, ma ci ricordano anche che prima di tutto noi siamo dei salvati. È bello allora cogliere che la nostra comune vocazione nella storia è quella di essere dei guaritori feriti, dei fragili vasi di creta che contengono il tesoro prezioso di Cristo. L’essere dei guaritori feriti non è una condizione che ostacola il percorso della Carità, ma è ciò che rende credibile ogni nostra azione e la nostra testimonianza. Nel fasciare ferite sapremo far memoria della nostra guarigione e aprire il cuore di chi soffre alla speranza di una sua guarigione cantando con le parole del salmo 29 “Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia “.

Per questa I Giornata mondiale dei poveri, voluta fortemente da Papa Francesco e fissata per domenica 19 novembre, l’equipe diocesana dell’area prossimità (Migrantes, Centro Missionario Diocesano, Ufficio Pastorale della salute, Ufficio Pastorale sociale e Caritas) ha pensato ad un piccolo segno contro l’indifferenza presente anche nella nostra città di Treviso e che dischiuda nuovi orizzonti di speranza e di solidarietà. Da più di un anno, in città, l’area dell’Appiani è divenuta luogo di marginalità (senza dimora, migranti, nuovi poveri) dinanzi alla quale non si riesce a trovare la via per una risposta strutturale e lungimirante. È una realtà molto complessa, non facile da affrontare neanche dalle istituzioni. L’equipe dell’area della prossimità desidera ricordare prima di tutto che i marginali, i vulnerabili … i poveri sono persone e non numeri di statistiche o report, uomini e donne, che nella fede, riconosciamo fratelli. Questo non può non smuovere il nostro cuore e la nostra azione. partire da ciò, in comunione con Papa Francesco e con la Chiesa universale sarà celebrata una Messa presso la cappella che si trova all’Appiani invitando i nostri fratelli che vivono forme di difficoltà e riconoscendo anche che tutti siamo poveri. Per i nostri fratelli musulmani verrà fatto, con la comunità islamica, un momento di preghiera. Al termine della Santa Messa e della preghiera musulmana ci sarà un pranzo condiviso presso una sala del Seminario Diocesano.

Questa giornata segni un nuovo inizio per ciascuno di noi, per la chiesa, per l’umanità intera ….

 

 


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